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Unità: Se la Fiom imbocca una strada diversa da quella della Cgil

Sul corteo di sabato Epifani parla di scelta che «isola» l’organizzazione di Rinaldini dalla Confederazione

03/11/2006
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l'Unità

Bruno Ugolini

Sarebbe bello. Immaginate un immenso corteo per le strade di Roma sabato 4 novembre. Aperto da uno striscione che riconosce le cose fatte dal governo Prodi, la direzione intrapresa e le cose da fare nei prossimi cinque anni, in materia di precarietà del lavoro. E aggiunge alto e forte che non s'intende tornare indietro. Ai tempi di Fini e Berlusconi, del varo della legge 30 e di misure che premiavano innanzitutto i furbetti, i miliardari, a cominciare dal primo in classifica, il capo del governo. Non saranno queste, temiamo, le caratteristiche dell'appuntamento romano. Anche se questa vigilia registra assicurazioni positive di alcune delle associazioni promotrici.

Era nata, la manifestazione di sabato, come un'iniziativa fortemente voluta per denunciare i mali della precarietà. Quei mali che questo giornale racconta tutti i giorni. Un tale obiettivo si è andato via via deformando, si è spappolato nell'immenso polverone che sta avvolgendo l'intera vita politica italiana. E dentro questa nuvola fatta d'infiniti editoriali e talk show, ci stanno tutti, da Prodi, a Padoa Schioppa, a Bertinotti. Con un governo violentemente assediato e la gente che non capisce più nulla e tutti sono all'opposizione di se stessi. Peggio: tra gli stessi promotori della manifestazione alcuni ministri del centrosinistra sono descritti come dei venduti, dei traditori.

Il rischio non è tanto che il prossimo sabato si risolva in un favore alla destra (immaginate i titoli dei giornali?). Il rischio è che si aiuti, anche senza volerlo, questo stato di cose, questa grandiosa, masochista dimostrazione d'impotenza. Senza indicare una via d'uscita. Ed è una bella responsabilità che si prendono importanti forze politiche come Rifondazione Comunista. L'antico slogan "partito di lotta e di governo" non convince. Lo usava il Pci togliattiano, ma stava all'opposizione. E oggi non si capisce contro chi si lotta, o si può lasciar credere che si lotta contro quei ministri sbeffeggiati da manifesti che incitano alle "dimissioni".

Certo la voglia di scendere in piazza è assai probabile che sia presente in un buon pezzo della gente di sinistra. Tra quelli che non hanno capito nulla e tra quelli che si attendevano una specie di miracolo sociale. Come se la "stanza dei bottoni" fosse un luogo magico dove, appunto, basta schiacciare un bottone. Senza rendersi conto che non c'è stato nemmeno un miracolo elettorale e la maggioranza soffre di un equilibrio instabile. A questo popolo deluso ma non idiota bisognerebbe spiegare pacatamente quello che il polverone nasconde: i piccoli pur timidi passi avanti, ma la direzione giusta. Se nò dopo la delusione arriverà la disperazione, il distacco. E non ci sarà alcuno sbocco più avanzato, più a sinistra. Ha ragione su un punto Gianni Rinaldini, il segretario della Fiom che ha portato la sua organizzazione (ma non tutta, visto il dissenso di un segretario nazionale, Fausto Durante) ad aderire all'iniziativa. Ha ragione quando sostiene che si sta giocando una partita che mira a creare un nuovo assetto politico, per dare il colpo di grazia ai diritti dei lavoratori. Ma come impedire tale esito? Contribuendo a dividere la già traballante maggioranza? O invece lavorando per unificare le forze, anche sindacali, disponibili?

Il 4 novembre, in quel discusso corteo ci sarà la Fiom ma non ci sarà alcun altro pezzo della Cgil (per non parlare di Cisl e Uil). Alcune categorie avevano aderito ma poi, di fronte alla piega presa dall'iniziativa, hanno lasciato perdere. Non per questo si sono ritirate sull'Aventino. Stanno preparando scioperi e manifestazioni "sindacali". Così i lavoratori del pubblico impiego, così i lavoratori della conoscenza. E dovrebbero far riflettere le severe parole di Guglielmo Epifani all’Unita:"La scelta della Fiom è legittima, naturalmente la isola rispetto alle scelte fatte dalla Cgil e dalle altre strutture". Un'espressione mai usata crediamo anche negli anni più caldi, quando i metalmeccanici, uniti, davvero erano "alla testa" di un movimento innovatore e che camminava un passo più avanti della sinistra tradizionale e delle stesse Confederazioni.


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