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UNITà-Se Giovanni Paolo II avesse vinto il Nobel

.2003 Se Giovanni Paolo II avesse vinto il Nobel di Lidia Ravera Non mi pare di aver sentito tre grida di "Urrah" per il conferimento del premio Nobel per la Pace a Shirin Ebadi, non mi pare di ...

17/10/2003
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l'Unità

.2003
Se Giovanni Paolo II avesse vinto il Nobel
di Lidia Ravera

Non mi pare di aver sentito tre grida di "Urrah" per il conferimento del premio Nobel per la Pace a Shirin Ebadi, non mi pare di aver sentito voci femminili levarsi in un compatto e fiero, soprano e contralto, coro di giubilo, con coloriture di piccola vendetta di genere. Forse ero distratta, ma non ho visto donne in piazza, per celebrare il riconoscimento ad una donna che combatte per le donne più oppresse di tutte, le musulmane, e, contemporaneamente, anche lo scacco del concorrente favorito, il Sommo Pontefice. Giovanni Paolo Secondo. Il papa polacco, il grande viaggiatore, il bonario e infaticabile dispensatore di posti da Santo e Beato, ma, soprattutto, il rigido e implacabile massacratore della modernità, un padre antico e sessuofobico, incapace di accettare le più ovvie conquiste di civiltà relazionale: il divorzio, il diritto di interruzione della maternità a solo e insindacabile giudizio di chi al servizio della specie ha messo il suo ventre, una parte del suo corpo. Incapace di considerare titolari del diritto ad essere aiutati i non allineati alle regole del cattolicesimo di più stretta osservanza: i conviventi non sposati, gli omosessuali non occultati dietro tonache schermo o bugie di adeguamento, gli omosessuali aperti e confessi, puliti e normali, i cittadini e le cittadine omosessuali che pretendono di non essere discriminati in base ai propri affetti o gusti, alle proprie preferenze intime, che si aspettano di non avere spie in camera da letto. Di non dover pagare per le proprie scelte di vita, non violente e non illegali.

Incapace di ammorbidire le sue posizioni sull'uso del preservativo perfino di fronte ai milioni di morti di Aids in Africa e nel Terzo Mondo, perché salvare una vita, anche una sola, è più importante di qualsiasi catechismo. Incapace di concedere alle donne che non possono avere figli di godere delle conquiste della scienza, di avere accesso alla procreazione assistita, di essere più felici... perché anche un po' di felicità, è più importante di qualsiasi catechismo.

Se Giovanni Paolo Secondo avesse vinto il Nobel, mi sarei adombrata (per usare un termine elegante): non basta essere contro la Guerra per essere a favore della Pace. Lavorare per la Pace vuol dire anche rinunciare ad una gestione autoritaria del proprio potere, anche se è un potere spirituale. Lavorare per la pace in un mondo percorso da squilibri economici gravissimi e diversità religiose che si esprimono attraverso cinture di tritolo, bombe, massacri e suicidi, in questo mondo minato dall'integralismo, essere per la pace, per una possibile armonia futura, vuol dire anche saper mettere in discussioni sé stessi e le proprie regole, essere meno normativi, più aperti. Mi sarei, ora che ci penso, davvero infuriata se la massima onorificenza, l'unico premio che ha per oggetto non qualità artistiche o competenze scientifiche, bensì qualità morali, fosse andato a Giovanni Paolo Secondo: per essere pacifisti, oggi, bisogna cedere un po' di terreno, non rilanciare all'infinito sui capisaldi della propria dottrina. Nemico della pace, oggi, è ogni integralismo, è nemico chiunque, nel profondo, non accetti le altre anime del mondo. Non ho sentito, forse ero distratta, il sollievo di uno scampato pericolo accompagnarsi alla notizia che l'Accademia di Stoccolma aveva scelto l'avvocato delle donne e non il Pontefice che, da 25 anni, ne ostacola la vita privata e pubblica (per esempio opponendosi al sacerdozio femminile), anche se, a parole, le celebra, ma a parole son buoni tutti a stare dalla parte delle donne. Infatti è da duemila anni che siamo celebrate, fregate e celebrate. Non ho sentito applausi scroscianti, nè pensieri grati ai saggi dei paesi freddi. Forse ero distratta. Oppure, più probabilmente, ottundeva i sensi laici, o cattolici dissenzienti, il diffuso quanto inspiegabile gradimento che Giovanni Paolo Secondo incassa anche a sinistra. Il Papa, scusate l'irrispettoso paragone, sembra diventato un Supereroe. Una specie di "Megazut Mazinga" che vola altissimo sopra le pallottole degli attentatori grazie all'intervento personale della Madonna di Fatima, uno che nonostante gli ottant'anni, un cancro operato, il morbo di Parkinson e gli altri acciacchi tipici della longevità, non si ferma un minuto, benedice di qua e di là, predica, incontra, raduna, legifera e santifica.

Certo, sul fatto che abbia una bella tempra, non si discute, è pur sempre un ex operaio polacco, formato alla dura scuola del dissenso comunista, ma da qui a innalzarlo al disopra delle barriere che lui stesso ribadisce quotidianamente, fra noi (laici) e lui (Papa), il passo è lungo, lunghissimo. Così lungo che sarebbe meglio non farlo.

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