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Unità-Se c'è un regime

18.10.2003 Se c'è un regime di Furio Colombo "Caro Furio Colombo, conosco molto bene il suo "curriculum vitae". Ogni tanto acquisto il suo giornale. La "boutade" della scorsa settimana gridava...

19/10/2003
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l'Unità

18.10.2003
Se c'è un regime
di Furio Colombo

"Caro Furio Colombo,
conosco molto bene il suo "curriculum vitae". Ogni tanto acquisto il suo giornale. La "boutade" della scorsa settimana gridava vendetta ad ogni buon senso. Ho pensato subito al suo fondatore Antonio Gramsci e mi sono chiesto: Antonio... perché non risorgi e non mandi il Tuo Colombo ad imparare un po' di vita, di garbo, di educazione sociale? Leggo più di un giornale e simili panzanate come quelle che lei scrive offendono vilmente i suoi avversari, giuro, non le ho mai lette. Dire che il suo avversario Silvio Berlusconi è un burattinaio è davvero senza misura. I vostri sono titoli infamanti. Ma perché dottor Colombo e company non vi date una buona regolata, dal momento che avete la fortuna di vivere e operare nel paese più civile di questo mondo: l'Italia. È semplicemente vergognoso e umiliante. Mai sentito né letto critiche di così basso livello. Veda Lei con il suo clan di darsi una regolata, otterreste senz'altro vantaggi editoriali e personali. Distinti saluti Alfredo Grazioli".

Questa lettera sarà utile a chi studierà - non so ancora in quale futuro - il caso Unità. Il signor Grazioli ha ragione: ciò che legge sull'Unità non lo legge in alcun altro giornale. Lui sta parlando - si capisce - della grande stampa indipendente. E alle sue spalle si vedono i salotti della televisione accesa. Tutta la televisione. Il signor Grazioli avrà provato ancora e ancora a cambiare canale. Niente, neanche l'ombra di ciò che noi pubblichiamo.

Naturalmente non serve rispondergli con le parole di Orwell: "Si possono zittire le idee e nascondere i fatti scomodi senza che per questo sia necessario un intervento d'autorità. C'è sempre un corpo di idee che viene fatto girare e che viene fatto accettare senza metterlo in discussione" (Prefazione a "La fattoria degli animali", 1945). Non serve perché siamo fuori dalla discussione. È questo il regime di cui noi, ostinatamente torniamo a parlare.

Un regime c'è quando il potere di governare è strettamente (direttamente) connesso con il potere di comunicare, e perciò coincidono il piano della visibilità quasi esclusiva di chi governa con la capacità di ignorare, oscurare o alterare a piacere l'immagine di chi si oppone.

In questo caso la violenza e l'imposizione fisica non sono più necessarie. La realtà conosciuta e percepita dai cittadini (la gran parte di essa) è quella formata e rappresentata secondo la volontà del potere. Questo aspetto - forgiare l'immagine affinché si forgi la realtà (uso deliberatamente la espressione fascista, forgiare) - era cruciale persino al tempo della forza e della violenza squadrista e militare.

Una dimostrazione della necessità di dominio della realtà attraverso l'imposizione dell'immagine voluta dal potere si ritrova negli atti del convegno di studio sulla aggressione (poi mortale) subita da Giovanni Amendola a Montecatini il 20 luglio 1925. Gli ingredienti sono un deputato liberale che, in pieno fascismo, non si piega, una folla assoldata per circondare il suo albergo e minacciarlo fisicamente, un capo fascista, Carlo Scorza (che allora non contava niente, ma che sarà poi adeguatamente premiato per il delitto) che inscena il generoso salvataggio dello sgradito oppositore, poi il linciaggio fisico, in luogo adatto, ad opera di competenti del crimine. Infine la versione accreditata, purtroppo, da tutti i giornali italiani. E' fondata su un rovesciamento di causa ed effetto: il popolo fascista esasperato, benché guidato con responsabilità e senso dello Stato, non ha potuto tollerare più a lungo la provocazione messa in atto, con la sua presenza nell'albergo di Montecatini dal parlamentare di opposizione.

Ecco un testo giornalistico di quell'Italia, quel giorno: "L'on. Amendola crede possibile starsene tranquillamente a passare le acque in una zona fascistissima, densa di quei fascisti che egli continuamente calunnia, deride, minaccia. Ciò sorpassa ogni limite. Diffama il fascismo e pretende di non suscitarne la collera. Ingiuria i fascisti e pretende di passeggiarci in mezzo". (L'impero, 22 luglio 1925).

Ed ecco la versione ufficiale dell'agenzia Stefani, l'Ansa di allora: "Occorre notare gli incidenti deplorevolissimi occorsi in piena campagna, nonostante gli sforzi compiuti dalla forza pubblica e dai dirigenti del fascismo locale per la tutela del deputato oppositore" (22 luglio 1925).

Non sembri eccessivo il riferimento. È stato l'autore del saggio, il professor Umberto Sereni dell'Università di Udine, a inviarmi gli atti nei giorni in cui - insieme ad Antonio Tabucchi - ero stato indicato come "mandante linguistico" di un possibile delitto per avere definito strano (in un titolo, senza altri commenti) un pranzo in cui i vertici del Governo (Primo ministro, vice Primo ministro, ministro degli Esteri) si riuniscono intorno al direttore di un giornale di proprietà di casa Berlusconi. Anche in questo caso una sola parola diretta a cercare in eventi bizzarri e insoliti (insoliti in Paesi democratici) una traccia di realtà, suscita reazione violenta. Non incontrollata, anzi controllatissima, come il comportamento di Carlo Scorza nella triste pagina appena ricordata.

Come si forma, ai nostri giorni, il potere che Scorza si era assicurato con le squadracce? Attraverso il monopolio totale delle comunicazioni. Infatti - come l'agenzia Stefani - i giornali italiani di oggi parlano di rissa, presumibilmente causata da persone di instabile sistema nervoso. Si trova il giornalista brillante che sta al gioco del "non esagerate". È pronto il giornalista regolarmente presentato come "di sinistra" in ogni singolo dibattito o tavola rotonda delle televisioni ormai stabilmente a reti unificate, che interviene bonariamente per dire "Ma voi date retta a quello (il direttore dell'Unità) che - al massimo - può fare male solo al buon senso?".

Controllare tutta la stampa vuol dire che l'aggressione (che non deve più, almeno per ora, avvenire intorno all'albergo perché chi governa possiede e controlla TV e giornali quasi al completo) può continuare sul più grande settimanale politico italiano, proprietà Silvio Berlusconi. E si ripete il gioco del rovesciare il prima e il dopo, vecchia storia dell'agnello che, bevendo a valle, inquina l'acqua del lupo a monte.

Perché? Perché a lui (il Presidende del Consiglio-padrone) va bene così, lo può fare dal momento che ha in mano tutta la stampa e tutta la Tv. Sentite la prova provata (dall'editoriale di Panorama, 17 ottobre): "Accusano il centrodestra di avere sequestrato agli italiani il diritto all'informazione, possono dire che una trasmissione tollerante come Otto e mezzo è un luogo losco in cui si intimidiscono i nemici di padron Berlusconi. Ma possono farlo solo su Le Monde e El Pais, prova provata che sono loro, i tirannicidi, a sequestrare l'informazione in modo tirannico...". Bizzarro, no? Ma c'è scritto davvero così. C'è scritto che in Italia non si può pubblicare così facilmente come su Le Monde un articolo come quello di Tabucchi, e questa è la prova (il fatto che sei ridotto quasi al silenzio, e che se non ci fosse l'Europa non volerebbe una mosca) che i violenti e gli aggressori siamo noi.

Al centro della pagina dell'editoriale di Panorama questa frase, come sottotitolo e riassunto: "Dire bugie madornali è possibile a patto che la maggioranza dei tuoi lettori non sappia davvero come stanno le cose".

Perfetto. È la descrizione del regime. Come si sarebbe potuto altrimenti aprire 90 telegiornali (per tutta l'estate, su tutte le reti) con un unico lancio: "Nuovi sviluppi nel caso Telekom-Serbia, somme rilevanti sarebbero state pagate a Prodi, Fassino, Dini"? Come avrebbe potuto l'avvocato Taormina, in tutte quelle televisioni, chiedere l'arresto dei tre oppositori, lanciare annunci al coinvolgimento del capo dello Stato e poi - quando tutto si dimostra falso, e anzi deliberatamente costruito - lasciar cadere tutto e fare finta di niente e dedicarsi, adesso, all'altra commissione di inchiesta, la Mitrokhin?

* * *

Ma soffermatevi su questo passaggio: l'editorialista di Panorama (che, come avete capito, è anche il direttore del Foglio e il conduttore della trasmissione televisiva quotidiana "Otto e mezzo") spiega che si occupa, nella sua invettiva, di Le Monde e El Pais perché "L'Unità non conta. Tutti ne ridono. Tutti sanno che cosa è diventata dopo la cura liberal di un frustrato della politica".

Se sia vero o no, i lettori di Panorama non lo sapranno mai. L'Unità non è ammessa nelle rassegne stampa della Rai, non appare su nessuna rete, è citata solo negli insulti di Bondi e di Cicchitto e - ogni tanto - quando il presidente del Consiglio offende questo giornale o uno dei suoi giornalisti.

Per lo spazio che resta provvedono i grandi commentatori liberi e i giornalisti brillanti, e il caso italiano su cui si discuterà nelle scuole di giornalismo di un futuro non imminente, è il seguente: come mai il regime ha potuto ottenere un così vasto silenzio volontario, oltre allo slancio di autoarruolamento di così tante "firme" del giornalismo?

Il perché si vede alla Rai. Gente che lavora in dissenso, o anche un lieve scostarsi, non se lo può permettere. La presidente di "garanzia" dice quello che deve e quello che pensa e non succede niente. Il suo impegno solitario non conta perché non c'è intorno nessuno, né alla Rai né fuori. La "garanzia" funziona se provoca scandalo. In questa Italia segue il silenzio. Quante altre apparizioni a reti unificate dovrà imporre l'attuale primo ministro perché si levi qualche cauto editoriale di perplessità? Evidentemente i casi esemplari di Biagi, Santoro, De Bortoli hanno funzionato a tutti i livelli.

Ho ricevuto la visita di un lettore. Voleva dirmi il suo attaccamento al giornale e dare, da esperto che aveva lavorato un tempo da edicolante, alcuni consigli sulla distribuzione. Era entrato portando sottobraccio la sua copia dell'Unità chiusa in una cartellina azzurra, di quelle con i risvolti che si piegano in dentro, come una busta. Quando è uscito, ha rimesso con cura la sua copia dell'Unità al sicuro e al coperto.

Come fai a mostrare tranquillamente, in giro, il quotidiano che predica il possibile omicidio di uno che compare tutte le sere in televisione e dunque è caro al Paese?

Lo crede, con la persuasione profonda che deriva dall'immenso cumulo di ore-televisione, anche il signor Alfredo Grazioli, che ha scritto la lettera con cui abbiamo aperto l'articolo. A lui nessuno ha spiegato, su nessuna rete, che sono stati usati spie e falsari, messi insieme e organizzati accuratamente allo scopo preciso di accusare Prodi, Fassino, Dini e - sullo sfondo - Ciampi. Nessuno ha chiarito che, se ci sono i burattini, dovrà per forza esserci il burattinaio. E nessuno nell'Italia di oggi, nonostante tutte le rubriche di lettere ai giornali che sono disponibili, nessuno dirà al signor Grazioli, se è possibile, se è vero che una opposizione testarda sia uguale al delitto. Il signor Grazioli dovrà trovarsi - come tanti nostri lettori - la risposta da solo. Gli basterà gettare uno sguardo a giornali e Tv dei Paesi democratici vicini a noi, in Europa.

In quei Paesi non c'è conflitto di interessi, chi governa non possiede televisioni e giornali, non c'è esenzione a vita dai processi, non c'è dominio totale dei media e sovrapposizione perfetta tra media e potere. Dunque non c'è un regime.

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