Unità-Scuola, non si spezza il cuore dello Stato
Le parole del Presidente Ciampi all'apertura del nuovo anno scolastico hanno dato alla scuola italiana il senso storico della sua missione: "la scuola è stata ed è il cuore pulsante dello Stato,...
Le parole del Presidente Ciampi all'apertura del nuovo anno scolastico hanno dato alla scuola italiana il senso storico della sua missione: "la scuola è stata ed è il cuore pulsante dello Stato, della nazione, ha saputo unire gli italiani". Poi le ha indicato l'ulteriore compito: integrare i figli dei lavoratori stranieri creando le fondamenta più solide di una futura cittadinanza. La durata del Paese, la sua continuità dipendono essenzialmente da ciò. Infine, e di nuovo, ha richiamato gli obiettivi di Lisbona 2000: fare dell'Europa e dell'Italia l'area più dinamica e competitiva basata sulla conoscenza.
Il messaggio è chiaro. Non si richiamano le fondamenta se esse non sono minacciate. Noi dobbiamo, innanzitutto, consolidare le fondamenta della scuola italiana. Se la scuola è il cuore dello Stato, non la si spezza con la devoluzione. Se essa è il filo storico dell'unità nazionale, è indispensabile rilanciarne oggi la missione civile: educare alla cittadinanza italiana ed europea secondo i principi delle due Costituzioni, educare le persone a vivere in un mondo plurale, educare le nuove generazioni alla democrazia.
Se la memoria è un valore per l'identità del Paese, l'insegnamento della storia contemporanea non può essere confinato nei pochi mesi di attività didattica della terza media.
Il diritto all'istruzione è un diritto umano universale. Che nessuno si perda diventa l'obiettivo primario del Paese e della scuola. È il grande principio costituzionale dell'uguaglianza delle opportunità e della rimozione degli ostacoli. È l'altra faccia della libertà che solo la conoscenza alimenta, e dell'assunzione di responsabilità che solo la formazione della coscienza assicura. Altro che le tre "i". Oggi, come ieri, la nuova Italia si fa solo con una scuola pienamente consapevole della sua missione civile. Questa missione ha di fronte a sé una questione cruciale: l'equità non si dà senza qualità, il diritto all'istruzione per tutti non si proclama ma si realizza solo se tutto il sistema è di qualità. È questo oggi l'impegno storico delle politiche di Governo.
Il recente libro-intervista di Tullio De Mauro e l'articolo di Luigi Berlinguer sull'Unità riportano il dibattito sull'istruzione in Italia sul terreno proprio della strategia del futuro. Il dopo Moratti e il dopo Berlusconi è già iniziato. È un discorso sul rapporto tra l'istruzione e l'Italia, sulla vocazione della scuola alla crescita e alla cultura del Paese. Nessuna politica per la scuola può essere pensata fuori dal complessivo progetto di ricostruzione dell'Italia.
Le riflessioni di De Mauro e Berlinguer si collocano sullo spartiacque tra un prima e un dopo. La vita della scuola italiana nei primi cinquant'anni della Repubblica è l'autobiografia della nazione: l'alfabetizzazione elementare degli anni cinquanta, anche con l'aiuto della televisione; la nuova scuola media che innalza l'obbligo e amplia la platea dell'istruzione degli anni sessanta; il rinnovamento della scuola dell'infanzia ed elementare degli anni settanta; la lunga attesa della riforma delle superiori accompagnata dalla stagione a suo modo feconda delle sperimentazioni degli anni ottanta; l'autonomia e l'aggancio con l'Europa voluti dal centrosinistra alla fine degli anni novanta.
Poi l'avvento del governo della destra ha determinato la discontinuità non solo politica ma costituzionale con la storia della scuola italiana.
E ora? Ricostruire le fondamenta, dicevamo, e su di esse aprire una nuova stagione dando al Paese e alla scuola una grande strategia.
Una strategia nazionale che abbia come obiettivo l'innalzamento del livello di cultura dell'Italia e faccia del sistema d'istruzione la sua più grande infrastruttura: assicurando mete da raggiungere, risorse finanziarie, materiali e immateriali, adeguate alla sfida, autonomia e responsabilità. Chiedendo in cambio risultati. Lo diciamo noi in Italia ma lo sta dicendo negli Usa anche Kerry. Non basta la strategia nazionale se essa non è anche europea. L'Italia ha bisogno di prendere sul serio gli obiettivi di Lisbona
La nostra strategia nazionale, dopo le macerie lasciate sul campo dal Governo attuale, dovrà muovere il sistema su tre perni fondamentali. In primo luogo la governance del sistema dell'istruzione come bene pubblico: indirizzi nazionali e verifica dei risultati, autonomia delle istituzioni scolastiche statali e non statali, ruolo delle Regioni e degli Enti Locali. Le scuole dell'autonomia dovranno crescere nello scambio delle buone pratiche, e raccontarsi al Paese nel circuito comunicativo più vasto perché solo così la scuola potrà far parte della narrazione civile della nazione. E alla governance del sistema scolastico si dovrà accompagnare un insieme di politiche: di welfare per l'infanzia, per l'adolescenza, per le famiglie affinché la scuola possa conseguire davvero gli obiettivi educativi, di raccordo con l'economia e il lavoro.
In secondo luogo la nostra strategia dovrà assumere pienamente l'idea dell'istruzione come processo unitario e longitudinale, e avere una visione unitaria e flessibile del sistema che ad essa deve corrispondere: un piano di estensione della scuola dell'infanzia, una grande attenzione all'adolescenza, il raccordo dell'asse istruzione-formazione integrata superiore-università - ricerca, il piano nazionale di educazione degli adulti e in specifico degli immigrati. In questo quadro considero lo slogan proposto da Berlinguer "scuola per tutti fino a 18 anni" l'esplicitazione di questo disegno forte attorno a cui mobilitare l'intero Paese.
In terzo luogo, la strategia nostra dovrà fondarsi sul ruolo decisivo degli insegnanti, il cui lavoro è vitale per l'economia e la cultura del Paese. Questo ruolo deve essere fortemente riconosciuto e riconoscibile.
Insegnanti dell'autonomia, e perciò titolari di progettualità, collegialità, responsabilità. Con un profilo professionale fondato sulla libertà di insegnamento e di ricerca, nella chiarezza dei rapporti con le famiglie, con un'attenzione nuova ai ragazzi e al loro bisogno di essere ascoltati.
Io penso che non decollerà la stagione politica del nostro risveglio e della nostra passione civile se non daremo vita a una grande partecipazione nazionale. L'Italia è chiamata ad essere un Paese che assuma su di sé la responsabilità del proprio futuro. Il suo ascolto e il suo coinvolgimento sono fondamentali per questo obiettivo.
È ciò che faremo con Romano Prodi nei prossimi mesi. Penso che dobbiamo promuovere un grande dibattito nazionale sull'istruzione che coinvolga la scuola ma anche la società e i soggetti economici, sociali, culturali del sistema Italia. Per stabilire obiettivi e percorsi, per suscitare le energie migliori. Vogliamo buone riforme che siano condivise.
Dopo le disillusioni e le aspettative disattese di quest'ultimo decennio, ora gli italiani attendono da noi una speranza vera che sappia rassicurarli sul futuro. La domanda più angosciosa riguarda le nuove generazioni: che faranno? Saranno meno tutelate delle generazioni adulte? La scuola serve a loro? Come? Su questo l'Italia, la scuola, la nostra proposta politica si giocano il futuro. È tempo di assumere insieme tutta intera questa sfida e di vincerla.
Capogruppo Margherita
commissione istruzione del Senato