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Unità: Scuola, la tentazione della gogna

Marina Boscaino

18/09/2007
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l'Unità

Qualcuno forse ricorderà che la scorsa primavera mi sono occupata di un episodio curioso e inquietante: in una piazza di Ciriè - un paese in provincia di Torino - alcuni insegnanti allestirono una gogna alla quale legarono un ragazzo, «reo» di bullismo, spiegando che la scuola aveva optato per quella punizione. Enrico Trucco - insegnante dell’istituto professionale D’Oria - ha montato le scene relative alla fase di progettazione e alle reazioni delle persone: un bel filmato, uno squarcio fosco sulla valutazione che la gente comune ha del fenomeno del bullismo e sulla fiducia che possibili iniziative informate alla ri-educazione e non alla repressione possano intervenire in maniera efficace; quasi tutti i passanti plaudono a quell’intervento o - almeno - lo ritengono ammissibile.
È una visione istruttiva. Ci dice moltissimo della percezione che si ha della scuola fuori dalla scuola stessa. È un’iniziativa che parla all’esterno della scuola, ma potrebbe parlare efficacemente ai ragazzi, se la si sfruttasse come veicolo di metariflessione e di consolidamento di quelle famose competenze di cittadinanza che - prime tra tutte le altre - la scuola deve garantire a chi la frequenta. Ma nel nostro Paese le cose girano spesso per un verso strano: e qualche giorno fa - in occasione del primo giorno di scuola nelle regioni che ancora non avevano iniziato - RaiNews 24 ha mandato per ben due volte un’intervista al ministro Fioroni e a Enrico Trucco. Dove - invece che la valorizzazione di un’esperienza così particolare e indicativa, che è viceversa servita solo da interrotto sottofondo visivo - si è teso a celebrare per l’ennesima volta (dal primo settembre non si fa altro) i fasti del nuovo anno, il nuovo corso, le magnifiche sorti e progressive che attendono la scuola italiana.
Che non sia legittimo attendere un atteggiamento di collaborazione fattiva e responsabile da parte dei media nell’arginare la pericolosa deriva nella quale la scuola pubblica è confinata (ricordo che - sulla scia dello scorso anno - già sono rispuntati episodi di bullismo, cui i media hanno fatto da cassa di risonanza) è un conto. Il sistema dell’informazione nel nostro Paese risponde a criteri altri rispetto all’informazione stessa. Ma che anche il ministero - nella figura del suo responsabile - non sia in grado di cogliere il lavoro e lo sforzo della scuola più attenta e collaborativa nella costruzione di una coscienza critica nel Paese, dispiace e disorienta. Il bullismo è l’innegabile degenerazione combinata di modelli sottoculturali e condizioni socio-economiche, esplosa in mano alla scuola e impietosamente amplificata dai riflettori mediatici. Unità di crisi, dispendiose campagne di informazione, linee dedicate, non avranno mai l’efficacia di un intervento sul rafforzamento e sulla motivazione degli insegnanti che si trovano ad affrontare quotidianamente il fenomeno. La diffusione di un filmato come quello di Ciriè - e di altre iniziative analoghe, nelle quali la scuola ha risposto direttamente ed educativamente - certamente avrebbe (anche come messaggio politico) un significato differente. La risposta del ministero dà spesso l’impressione di inserirsi in una linea ambigua di interventismo - un po’ arruffato, un po’ scomposto - in cui si tende ad equivocare il significato delle parole e ad assecondare in maniera ammiccante quelle istanze che rendono possibile che in una provincia italiana si ritenga tollerabile e persino plausibile l’idea di montare una gogna per punire i ragazzi. Da Fioroni continuiamo a sentire slogan come «tolleranza zero», che spostano l’attenzione dall’entità del fenomeno, dalla sua analisi e dal reperimento di deterrenti degni della scuola, ad apparenti soluzioni - consolatorie e rassicuranti, perché promettenti quel pugno di ferro dal quale molti italiani si sentono protetti (contro i bulli, contro gli insegnanti scansafatiche, contro la scuola che non funziona) - equivocando funzioni, compiti, finalità e obiettivi. E contrapponendo progressivamente - nelle parole come nei fatti - severità a serietà, proibizione e repressione ad educazione, autoritarismo ad autorevolezza.
Se da un lato l’opzione rappresenta una facile risposta alle esigenze di una parte dell’«utenza», dall’altro configura un allontanamento da quell’investimento sulle energie e le intelligenze che parte della scuola sa mettere a disposizione. Ha scritto Edmondo Berselli su l’Espresso della scorsa settimana: «Basta alzare il naso e si sente aria di restaurazione. Indizi, sintomi. Che cosa vorrebbe dire, altrimenti, la sortita del ministro Fioroni che rimette al centro della scuola tabelline e sintassi? Per decenni ha avuto corso il principio supremo del sessantottismo, cioè no al nozionismo. Subordinata: largo allo "spirito critico"». Non si tratta di definire la contrapposizione manichea tra nozionismo e vago sociologismo. Perché quello spirito critico - quando interpretato con serietà e autorevolezza - ha dato luogo ai programmi del ’79, alle 10 tesi per l’educazione linguistica democratica e ad una serie notevole di esperienze didattiche che hanno realmente configurato una scuola capace di rispondere al cambiare dei tempi. E a fornire opportunità per tutti, indipendentemente dalle condizioni di partenza.
Eppure il ritorno agli antichi contenuti e modalità di trasmissione nelle indicazioni di Fioroni ha strappato l’applauso a molti. Così come il ricorso a formule rassicuranti per «rimettere ordine». Siamo davvero convinti che accogliere e assecondare richieste sociologicamente e storicamente determinate dall’attuale ventata di disimpegno nei confronti della cosa pubblica e liquidare definitivamente istanze del passato che hanno rappresentato - nelle migliori interpretazioni - progresso e crescita del Paese sia la strada giusta per rispondere alle condizioni del reale? Siamo convinti che un degno inizio d’anno sia meglio accompagnato dallo spot autocelebrativo? O sarebbe stato più efficace e motivante registrare da parte del ministro la lungimiranza di accogliere, recepire, valorizzare le esperienze che la buona scuola riesce a produrre, nonostante l’indifferenza di politica, media e società civile?


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