Unità: Scuola, la cura che non c’è
Luigi Berlinguer
La scuola torna in prima pagina. Aumenta l’attenzione politica su un tema che sembrava tramontato? Lo spero. Non vorrei che fosse una fiammata alimentata dalla benzina della vis politica. Sono anni che la scuola divide, e questo è un male. Da che dipende? Dal fatto - credo - che il dibattito culturale sulla scuola è arretrato di decenni, parla di una scuola che non c’è più. Cambiati i numeri, la natura, la missione; e di questo non c’è traccia nei commenti dei media. È ora invece che si cambino contenuti e metodi. È decisivo ciò che si impara e come. Occorre una rivoluzione curriculare e metodologica, con alla base la sollecitazione delle curiosità, degli interessi culturali e umani. Severità e rigore vanno insieme al coinvolgimento degli alunni. Il sapere è una conquista e non un’iniezione.
Esiste una «questione meridionale» della scuola italiana? Temo proprio di sì. Pochi sanno che il «Comitato per lo sviluppo della cultura scientifica» che presiedo ha promosso un’indagine sulla presenza dei laboratori scientifici nelle scuole italiane. Le risultanze sono state rivelatrici. Laboratori ce ne sono, ma sono scarsamente utilizzati.
Nel Mezzogiorno però questo difetto è di media più grave del 20% rispetto al centro-nord. Preoccupante.
Osserviamo un altro indicatore: la cosiddetta dispersione scolastica di cui i giornali di ieri hanno parlato, finalmente con interesse: chi abbandona la scuola anzitempo o la conclude con molto ritardo. Ebbene, in Italia questo flagello è più grave della media europea, come si è letto. Purtroppo però, dopo gli articoli di ieri temo che torni il silenzio, perché la pubblicistica ignora il fenomeno; ai nostri soloni non importa se tanti ragazzi vengono perduti nel corso del cammino della conoscenza. Il dato più allarmante, però, è nel Sud, ove le province continentali ed isolane registrano un abbandono ed un ritardo superiore del 5-10% rispetto alla media nazionale, che - si sa - è sotto la media europea, e la stessa media europea non va bene rispetto agli obiettivi di Lisbona. Ancora una volta però in Italia è la parte più debole del Paese che paga.
Ancora: sanno i nostri lettori quale sia lo stato dell’edilizia scolastica nel Sud? Spesso è disastroso. Nel centro-nord un tale problema - più esistente soprattutto in ordine al tipo di architettura degli edifici rispetto alle nuove esigenze didattiche - non si presenta drammaticamente, perché è stato fatto abbastanza. Nel Sud invece è il contrario. Esistono numerosi edifici fatiscenti, improvvisati, inadeguati, precari, sovraffollati, privi di attrezzature (palestre, multimedialità, piscine etc.): insomma scuole vecchie, disastrate, e per questo inefficienti, incapaci di un’offerta didattica e formativa adeguate. Questa situazione ha pesato e pesa ancora per l’esistenza di doppi turni quotidiani, che sono stati un flagello della nostra scuola.
Da ultimo, un altro fattore, l’handicap: nel Sud gli interventi sulle barriere architettoniche (scale, servizi igienici, porte, ascensori, trasporti) sono inferiori di almeno un 5-10% rispetto alla media nazionale. Né può trarre in inganno il dato della maturità, ove quest’anno le medie di voti elevati sono state leggermente migliori al Sud che al Nord: attenzione, è diffuso il timore che abbia giocato un brutto tiro il dato preoccupante della disparità di valutazione adottato dalle diverse commissioni esaminatrici locali.
Da ultimo vorrei citare i dati Ocse-Pisa, già ricordati in molti interventi in questi giorni: l’Europa non boccia l’Italia e i suoi quindicenni, in tema di competenze scientifico-matematiche o di lettura, ma boccia il Sud e le Isole, assai indietro rispetto alla media europea (mentre il centro-nord la supera nettamente). Mi si faccia ricordare, infine, un dato universitario: nella media italiana soprattutto per il Sud i laureati triennali tendono a proseguire in numero eccessivo negli studi specialistici, in Lombardia e nel Nord invece un’indagine «Stella» ha accertato che circa l’80% lavora dopo la laurea triennale.
Esiste allora una questione meridionale nella scuola? Altroché. Forse si può parlare addirittura di un vero dramma, di un’emergenza nazionale della scuola nel Sud. Le fredde statistiche ricordate rivelano un fenomeno inedito: un abbassamento della complessiva qualità scolastica nel Sud. Nel passato, in piena «questione meridionale» generale, un liceo o una scuola elementare di Napoli aveva in genere un livello analogo alle consorelle milanesi. Oggi non è più così. Il dramma è gravissimo, bisogna fare qualcosa. La spiegazione è - come sempre - complessa. Non è individuale (di docenti o discenti) ma strutturale. Gli enti locali, nel centro-nord, hanno fatto in questi decenni cose straordinarie per la scuola. Assessori capaci, molti fondi, strutture funzionanti, trasporti, attività culturali con relative attrezzature, promozione delle reti e dei contatti scuola-territorio. Insomma una vera bonifica culturale, un ambiente stimolante. Docenti e studenti hanno tante occasioni per arricchirsi e formarsi meglio. Nel Sud tutto questo o è episodico, o non c’è. Nel centro-nord la scuola è tema che influenza le scelte dell’elettorato locale, che stimola così gli amministratori. Al Sud o è episodico o non c’è. Nel centro-nord l’impianto educativo scolastico viene stimolato anche dal problem-solving, dal rapporto baconiano del «setting something in motion», dall’apprendere attenti alla dinamica e non con una conoscenza statica; nel Sud invece...
In altre parole l’ambiente e il territorio oggi - in qualunque Paese evoluto (Scandinavia docet) - è condizione essenziale del successo della scuola. Come pure l’impianto didattico, adeguato alla grande novità di una scuola di tutti, che deve essere stimolante, coinvolgente, aperto è - ovviamente - severo e responsabilizzante. Conta cioè il contesto culturale in cui sono immersi docenti e studenti: nel Sud c’è quasi un deserto, ci sono solo eccezioni ed eroi, e quanta fatica costa lavorare in queste condizioni. Manca un tessuto e un sostegno.
Quali potrebbero essere i rimedi? Certamente generali, ma il Sud è una vera emergenza nazionale. Nel Sud pesa assai di più la circostanza che la nostra scuola non stimola, non coinvolge, non favorisce la risposta agli interrogativi di senso, non viene percepita come una cosa propria. Ancor più nel Sud necessita un management strutturale, una riorganizzazione della didattica, un cambiamento epistemologico dei curriculi e dell’insegnamento; occorre motivare il bambino e il ragazzo.
Scuola e territorio, cioè. Ma in Italia appunto non esiste un solo territorio. C’è un territorio Centro-Nord e un territorio Sud. E una parte cospicua di questo territorio sfugge al controllo dello Stato, vi convivono Stato e potere criminale, violenza e pizzo sono vissuti come normalità, contribuiscono anch’essi a «educare», a «formare coscienze» distorte, «cittadini». Una bestemmia, che fa dell’Italia un Paese diverso, di difficile comparazione persino statistica in sede europea. Raccapricciante la rassegnazione con cui accettiamo questa tragedia.
Sono convinto che grave errore sarebbe non approvare il federalismo in Italia, anche per la scuola. Abbiamo bisogno di decentrare, nella scuola. Ma non è questa la vera emergenza nazionale, oggi, da gridare al mondo: è l’«originalità» tutta italiana, è il «doble poder». È questo Sud, ieri Magna Grecia, culla mediterranea, eccellenza culturale mondiale, oggi patria fra le altre di cose che tutto il mondo chiama mafie, assumendo un vocabolo meridionale italiano nel lessico internazionale. Va cambiato questo Sud, va salvata la scuola del Sud. E la scuola tutta.