Unità-Scuola l'ora del dilettante
Scuola l'ora del dilettante di Marina Boscaino Lo scorso maggio una sentenza del Tar del Lazio aveva accolto il principio di illegittimità rivendicato da 1500 insegnanti precari (affiancati e sos...
Scuola l'ora del dilettante
di Marina Boscaino
Lo scorso maggio una sentenza del Tar del Lazio aveva accolto il principio di illegittimità rivendicato da 1500 insegnanti precari (affiancati e sostenuti da tutti i principali sindacati della scuola), secondo il quale il cumulo dei punti attribuiti ai docenti abilitati attraverso le Ssis (Scuole di Specializzazione all'Insegnamento Secondario) avrebbe dato adito ad una "supervalutazione". Tale supervalutazione sarebbe stata il frutto delle deliberazioni determinate da un decreto ministeriale del 12 febbraio 2002, che aveva stabilito che il titolo di abilitazione ottenuto tramite queste particolari Scuole dovesse essere valutato 30 punti, ai quali potevano essere cumulati i punti (12 per anno) derivanti dalle supplenze fatte contemporaneamente alla frequenza dei corsi universitari.
Dalle pagine di questo giornale più volte all'epoca si parlò del pericolo costituito da una simile situazione. Personalmente intervenni sostenendo che essa configurava ancora una volta una triste guerra tra poveri, combattuta tra precariato storico e coloro che avevano avuto l'opportunità di frequentare e conseguire l'abilitazione attraverso le Ssis: scuole di specializzazione, della durata di 2 anni, a pagamento, che hanno sostituito, già dai tempi del Governo dell'Ulivo, i concorsi ordinari attraverso i quali, fino al 2000, i docenti italiani hanno conseguito le abilitazioni nelle proprie discipline. Due mesi fa (il 14 giugno) il Tar aveva bloccato la circolare che definiva le modalità di assegnazione dei punteggi, individuando di fatto nelle Ssis un canale privilegiato a discapito di chi, precario da anni, vedeva computato il proprio punteggio attraverso i criteri precedenti; era stata imposta una riformulazione della circolare stessa, spedita dal Ministero ai Provveditorati dopo pochi giorni. Tale riformulazione, però, mancava di rispettare del tutto le indicazioni del Tar. E i nodi sono venuti al pettine proprio in questi giorni. Il 31 luglio un'analoga situazione ha determinato la sospensiva della circolare da parte del Tar dell'Umbria. Il 19 agosto è stato il turno del Tribunale del Lazio. Esclusa l'ipotesi di elaborare una terza circolare, la Moratti ha optato per il ricorso al Consiglio di Stato, sperando in una sentenza definitiva in tempi lunghi che le consentano di evitare la revisione immediata delle graduatorie. Tale soluzione (che, qualora il Consiglio di Stato dovesse confermare la sentenza del Tar, obbligherebbe il Ministero a rimettere mano alle graduatorie durante l'anno scolastico, con notevoli conseguenze nell'organizzazione dei singoli istituti e con ricadute estremamente negative in termini di interruzione della continuità didattica) è il frutto tardivo di una politica colpevolmente improntata ad evitare l'osservazione rigorosa delle procedure. E, d'altra parte, la nota vicenda della legge delega sulla riforma della scuola e la "trovata" della sperimentazione non fanno che confermare l'impressione che la Moratti, per dilettantismo o per spregiudicatezza, non ami seguire i percorsi istituzionali, in un tentativo spasmodico di aggiramento che sconfina sempre più nella mancanza di rispetto nei confronti delle istituzioni. Non starò qui a fare il calcolo dei numeri degli insegnanti coinvolti in questo nuovo garbuglio da repubblica delle banane: il numero delle cattedre vuote all'inizio dell'attività didattica (sono comunque 40.000 gli aspiranti supplenti iscritti nelle graduatorie) è solo la concretizzazione, il segno tangibile di una noncuranza assoluta nei confronti dell'effettivo andamento del percorso scolastico che, molto più di qualunque successo di facciata, dovrebbe interessare chi si trova alla guida del ministero dell'Istruzione. È evidente che le sentenze dei due tribunali regionali apriranno la strada ad ulteriori provvedimenti che, nonostante le materne rassicurazioni del ministro, inficeranno certamente non solo l'avvio ma anche la continuazione dell'anno scolastico. Non cercherò, ancora, di sottolineare lo sforzo costante che il ministro sta profondendo nel tentativo di complicare la vita della scuola pubblica, già fortemente provata dalla mancanza di investimenti e da provvedimenti di delegittimazione diretti a favorire l'istruzione privata: sono dati evidenti agli occhi di tutti e ancor più di chi lavora e vive nella scuola. Come è possibile, se non ricorrendo al sospetto di mala fede, che il Ministero abbia mal interpretato la prima sentenza del Tar? È difficile crederlo, soprattutto, considerando il fatto che da "L'Unità" e da altri giornali (nonché, ovviamente, dal mondo della scuola e del sindacato) in molti erano intervenuti a sottolineare l'iniquità dell'attribuzione del punteggio a vantaggio degli abilitati Ssis. E allora ecco uno dei punti principali sul quale non bisogna stancarsi di insistere: la paradossale mancanza di certezza del diritto della quale chi opera nella scuola è ormai completamente in balia.
È un problema serio, soprattutto perché riguarda una categoria di lavoratori sottoposta, nel corso della propria carriera, ad un cammino particolarmente difficoltoso. Quando si parla di precari della scuola si dimentica spesso che si tratta di persone spesso laureate da molti anni, che ogni fine estate affidano la propria incerta possibilità di lavorare ad attese estenuanti; si vedono assegnate destinazioni scomode; godono di diritti diversi ed inferiori rispetto a chi è inserito in ruolo; spesso non hanno le ferie pagate, cambiano sede (e dunque classe) ogni anno, maturano un'anzianità di servizio che vale meno di quella degli insegnanti di ruolo; ma grazie al loro contributo, immancabile e costante, la scuola italiana è potuta andare avanti. In una interminabile flessibilità ante litteram, per nulla soggetta ai vantaggi (peraltro tutti da dimostrare) che chi propone la flessibilità sul lavoro come modello alternativo e vincente ha tentato di mettere in luce. Certo, lapalissianamente, si può sempre dire che lavorare è meglio che non lavorare. Ma lo stato di precarietà protratto nel tempo ha condizionato la vita di molti insegnanti e le scelte conseguenti. Questo interminabile tirocinio, di cui sia i precari storici che gli abilitati Ssis sono oggi i protagonisti, logora e spesso tende ad azzerare la carica di entusiasmo e determinazione che chi intraprende il lavoro dell'insegnante per scelta e non per ripiego porta con sé. In questo momento, a distanza di pochissimi giorni dalla riapertura delle scuole, la fretta e la superficialità di alcune decisioni del Ministro sta sottoponendo ad un ulteriore disagio i candidati alle supplenze (e, di conseguenza, gli alunni) in un'irrispettosa mancanza di programmazione, di lungimiranza e di sensibilità politica indegna di un esponente del Governo. O, forse, degna di molti esponenti di questo Governo. Che cosa dire a questi insegnanti ancora incerti sul proprio destino lavorativo alla fine di agosto? C'è la certezza di cominciare, ma non quella di continuare; e non è la prima volta che il Ministero pone gli insegnanti e le classi in questa spiacevole situazione, dal momento che anche lo scorso anno (in seguito alla frettolosa cascata di immissioni in ruolo di agosto seguita da numerosi ricorsi) molti docenti sono decaduti (almeno giuridicamente) durante l'anno per lasciare il posto a chi legittimamente doveva occuparlo. Che cosa dire a chi attendeva di entrare in ruolo per quest'anno e, invece, dovrà aspettare ancora, a causa del blocco delle assunzioni? Mi rendo conto che il colpo di teatro rappresentato dalla precipitosa immissione in ruolo di 60000 docenti potesse, nelle intenzioni del Ministro, rendere al Governo credibilità e consenso. Ma la fretta e il caos non sono buoni consiglieri: e a causa di quella mossa ad effetto, a causa di un efficentismo solo formale, troppo spesso confinante nella superficialità e nell'inadeguatezza, la scuola italiana sta pagando uno scotto che si somma all'opera, meno immediatamente evidente ma più tenacemente insidiosa, di minare alla base la centralità e il primato della scuola pubblica. A proposito di fatti: il 31 dicembre è scaduto il contratto nazionale del personale della scuola, che riguarda un milione e centomila dipendenti tra docenti e non docenti. Nonostante l'impegno in maggio da parte della Moratti a firmare l'atto di indirizzo, di quella firma non si sa niente. Nei punti programmatici del centro-destra un elemento centrale era l'equiparazione agli stipendi europei e, nascondendo un irrefrenabile sorriso ed evitando di commentarne l'inopportunità, ricordiamo le parole del premier, che prometteva di ricoprire d'oro gli insegnanti.
In attesa di nuotare, come un famoso papero dei fumetti o come il capo del Governo, in un mare di monete, chiediamo, almeno, un gentile cenno da parte del Ministro, che non dimentichi il recupero dell'inflazione reale (e non, come previsto, dell'1,4%); e un po' di rispetto per noi (insegnanti di ruolo e precari), per gli studenti e per la scuola pubblica. Marina Boscaino, 23 agosto 2002