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Unità-Scuola: idee sì, vivisezione no

Scuola: idee sì, vivisezione no FERNANDO D'ANIELLO Dopo più di tre anni, del Ministro Moratti non se ne può più: e non solo perché le riforme che ha messo in campo per la scuola e l'u...

03/10/2004
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l'Unità

Scuola: idee sì, vivisezione no

FERNANDO D'ANIELLO

Dopo più di tre anni, del Ministro Moratti non se ne può più: e non solo perché le riforme che ha messo in campo per la scuola e l'università sono pericolosissime (la sola approvazione della delega e il conseguente abbassamento dell'obbligo scolastico hanno determinato un calo di oltre 20.000 iscritti alla scuola secondaria), ma, anche e soprattutto perché tre anni di contestazione ci lasciano ancora oggi privi di proposte valide capaci di affrontare gli storici problemi della scuola italiana, a partire dalla questione della dispersione scolastica (il 30% dei ragazzi lascia gli studi senza aver conseguito una qualifica o un diploma). Problemi che, ovviamente, non cominciano con la Moratti e Berlusconi, ma che questo governo ha ignorato e, anzi, peggiorato. Da questo punto di vista, mi è sembrato utile il contributo che Luigi Berlinguer, che ha provato a rilanciare sul fronte delle proposte (education per tutti fino a 18 anni), reinvertendo in parte anche riforme che lui stesso portò avanti quando occupava il posto della Moratti, riforme che in parte contestammo. Mi sembra che da quel contributo traspare, finalmente, un'indicazione chiara e netta: l'essenza delle riforme del centrodestra è profondamente sbagliata, l'abbassamento dell'obbligo è un errore da correggere quanto prima, occorre assicurare a tutti più scuola.
Ma come si può realizzare tutto questo? Ovvero, problema che molti sottovalutano, dopo aver abrogato la Riforma Moratti, visto che tutti i problemi della scuola restano in piedi, che si fa?
Convinti nella necessità della prima parte della precedente frase, noi dell'Uds intendiamo soffermarci sulla seconda. Parto da un osservazione preliminare: di riforme non se ne può più!
Sono anni (forse più di un decennio) che la scuola viene costantemente vivisezionata dai chirurghi di viale Trastevere che hanno spesso lasciato incompiuto il loro lavoro, ripreso poi da quelli che li sostituivano. Il guaio è che si opera su un corpo fatto di tantissimi studenti e insegnanti, completamente esclusi da qualsiasi processo, che hanno ormai del tutto perso la bussola di quello che succede loro intorno.
Ecco perché rilancio: basta con le grandi riforme, i maxi progetti che vogliono cambiare tutto e poi non cambiano niente, se non in peggio. Ripartiamo dal coinvolgere le scuole, da quelle (purtroppo poche) che in questi anni hanno realizzato, anche grazie all'autonomia, pratiche nuove ed efficaci, ripartiamo dalla partecipazione degli studenti e dalla professionalità dei docenti: solo così è possibile un cambiamento reale nelle migliaia di classi della scuola italiana, solo così è possibile affrontare i nodi che da troppo tempo imbrigliano la nostra scuola. Ripartire dall'autonomia, quella vera, dall'autogestione delle scuole, e non dalle esperienze negative che negli ultimi anni sono state realizzate, penso ai presidi manager e ad una gestione aziendalista delle scuole. E questo vuol dire anche rilanciare sul tema, attualissimo, della cosiddetta devolution: noi, dobbiamo dirlo a chiare lettere, non vogliamo sostituire al Ministro, 20 assessori regionali che decidono sulle nostre teste. Ecco perché occorre una ridefinizione del concetto di spazio pubblico, dopo gli errori del passato. Una ridefinizione che assegni allo Stato il compito, costituzionale, di istituire scuole di ogni ordine e grado (e non di certificare quali agenzie sono adatte a fregiarsi del titolo di scuola) ma che lasci all'autogestione delle componenti, ovviamente in uno spazio democratico e partecipato, la gestione delle scuole. Da questo punto di vista le nuove sfide sul piano dell'integrazione culturale mi sembrano un terreno che necessita un'analisi approfondita. Credo che si sia fatto un errore nel pronunciarsi in modo così repentino contro la proposta di alcuni docenti di istituire una classe per studenti stranieri. Senza entrare nel merito della questione, è bene, però, porre alcuni punti fermi. Sulla questione dell'integrazione non esistono risposte "preconfezionate", tanto più se parliamo dell'integrazione di diverse culture, che, dunque, richiedono politiche diverse. Bisogna avere più fiducia nel lavoro di tanti insegnanti che sul piano dell'integrazione lavorano da anni, bisogna mettere in rete le esperienze migliori, valutarle, riproporle& Cruciale è evidentemente il ruolo del territorio.
Tre cose credo, infine, siano necessarie, da realizzare, con i giusti tempi ma avendo chiaro di fronte a se il percorso da compiere: tutti a scuola sino a 18 anni, abbattimento dell'impostazione liceale di gentialiana memoria e tornare a ragionare di diritto allo studio, di opportunità.
Bisogna reinvestire le battaglie degli ultimi anni, tornando a parlare seriamente di un innalzamento dell'obbligo scolastico, prevedendo, ovviamente, la giusta differenziazione dei percorsi a partire da sedici anni. Importante sarà rompere l'impostazione liceale della nostra scuola, l'idea, propria della riforma gentile che tutt'ora vive nella nostra scuola, di una cultura di serie a una di serie b, di un sapere migliore rispetto ad un altro. Un'idea può essere quella di ripensare completamente l'alternanza scuola lavoro, come pratica didattica da realizzare in tutte le scuole, anche nei licei. Ecco perché, ai decreti della Moratti, totalmente deliranti sulla questione alternanza, noi abbiamo risposto con la proposta di uno statuto dei diritti per chi fa stage: perché anche quella pratica didattica sia ridefinita partendo dalla centralità di chi apprende, dai suoi diritti, dai suoi bisogni e dalle sue aspirazioni.
Infine si ripropone con urgenza la questione delle pari opportunità di accesso e successo formativo. Ancora oggi, i dati parlano chiaro: è la selezione scolastica dipende in misura straordinaria dalle condizioni familiari (il rapporto direttamente consequenziale tra voto ottenuto al termine della scuola media e titolo di studio dei genitori è ormai di dominio pubblico). Da questo punto di vista è fondamentale il ruolo delle regioni, anche in virtù delle politiche, di segno decisamente contrario, varate dal centrodestra (i cosiddetti buoni scuola utili solo ad un finanziamento più o meno diretto alle scuole private): ecco perché abbiamo concentrato a livello regionale alcune campagne, che cominciano a dare i propri frutti. Come l'approvazione in Campania della legge per il diritto allo studio e l'apprendimento per tutta la vita, una legge sostenuta dalle tantissime iniziative e mobilitazioni che noi studenti abbiamo saputo costruire. Una legge che inverte le politiche degli ultimi anni perché esplicita alcuni principi fondamentali: la gratuità del sapere, la necessità di garantire a tutti l'accesso ai vari settori della cultura, la legittima autonomia che deve essere assicurata a tutti i soggetti in formazione. Una proposta, sulla base di quella emiliano romagnola, che seppur embrionale pone il problema di un reddito per chi si forma e intende farlo in completa autonomia, continuando la nostra battaglia per la gratuità dei saperi contro i tentativi che da più livelli arrivano di mercificazione.
Sono questi elementi importanti, credo, per cominciare a metter mano ai problemi della nostra scuola e del nostro sistema formativo. Noi studenti ci stiamo provando e nei prossimi mesi daremo vita ad un grandissimo percorso di partecipazione: assemblee di classe e di istituto per costruire possibili idee di scuola così come noi la vogliamo. Per mettere in movimento le nostre scuole. Sin dal 17 novembre quando intendiamo mobilitarci in tutt'Italia, perché di idee ne abbiamo e vogliamo sperimentarle, che alla Moratti piaccia o meno vogliamo provarci.
Coordinatore nazionale Unione degli Studenti
www.unionedeglistudenti.it


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