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Unità-Scuola, disastro approvato

23.01.2004 Scuola, disastro approvato di Marina Boscaino Lui, il padrone dell'Italia, l'ha definita "una rivoluzione silenziosa con effetti estremamente positivi": è la legge delega di rifo...

23/01/2004
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l'Unità

23.01.2004
Scuola, disastro approvato
di Marina Boscaino

Lui, il padrone dell'Italia, l'ha definita "una rivoluzione silenziosa con effetti estremamente positivi": è la legge delega di riforma della scuola, il cui primo decreto attuativo è stato approvato ieri - dopo un faticosissimo iter - dal Consiglio dei ministri. Modestia e ritrosia sono due delle doti principali del presidente del Consiglio: i suoi modi schivi e riservati rappresentano un raro esempio di savoir-faire politico che il mondo ha più volte dimostrato di invidiarci.

Il silenzio è d'oro, si dice. Si vede che la smisurata ricchezza di Berlusconi gli impedisce di apprezzare questa antica massima. E di attribuire alle parole i significati che hanno. Smentendo, attraverso l'immediata esternazione di commenti trionfalistici, il presupposto da cui è partito: lui, padrone della gran parte del mondo della comunicazione, che rileva come alle proteste e allo stato di mobilitazione che da settimane agitano la società civile e il mondo della scuola contro la riforma sia stato dedicato uno spazio nove volte superiore a quello riservato alla descrizione dei contenuti della riforma stessa.

La rivoluzione silenziosa consente ai bambini di due anni e mezzo e a quelli di cinque anni e mezzo di iscriversi rispettivamente alla scuola materna e alla scuola elementare. Consente ma non obbliga: la scuola materna non è obbligatoria. E il nostro Paese è ben lontano - considerate le risorse riservate al sistema dell'istruzione - dal raggiungere questo prezioso obiettivo. Persino la generalizzazione della scuola materna è un traguardo lontano: le zone più periferiche del territorio non hanno istituti, le grandi periferie urbane hanno scuole materne con liste di attesa smisurate. Prevedere la possibilità dell'iscrizione anticipata significa individuare una fascia di utenza che si colloca nelle aree ricche, dove l'incremento demografico è basso. Senza fare nulla per aiutare coloro che vivono in aree più popolari e/o più disagiate. Insomma, la divaricazione dei percorsi - che credevamo, nel progetto del Governo, cominciare a 13 anni, con la scelta tra istruzione e formazione professionale - inizia molto prima, fornendo ad alcuni la possibilità di accedere precocemente alla scuola, negandola definitivamente ad altri. La differenza tra un bambino che abbia frequentato tre anni di materna e uno che non abbia avuto questa opportunità è apprezzabile: non tanto in termini di apprendimento di alcune capacità (saper leggere, saper scrivere), quanto in termini di abilità sociali: capacità di socializzare con gli altri, di rispettare le regole, di afferrare il senso della comunità scolastica e tutto ciò che l'esserne parte comporta. La scuola materna pubblica, sempre più, è stata in grado di offrire strumenti e sollecitazioni fondamentali. Nell'ambito di un'utenza estremamente differenziata (presenza contemporanea di bambini dai due anni e mezzo ai quasi sei alla materna, dai cinque e mezzo ai quasi sette in prima elementare i cui ritmi di apprendimento, sviluppo di abilità sociali, maturità pare costituiscano un problema privo di rilevanza), arriveranno in prima elementare bambini di cinque anni e mezzo e che per giunta potrebbero non aver frequentato nemmeno un giorno di scuola dell'infanzia. Il che significa negare alla scuola materna qualunque utilità, se non quella puramente accuditiva: un parcheggio per i fortunati che riescono ad entrarci, la cui rilevante valenza didattica viene completamente disconosciuta, ignorata.

La rivoluzione silenziosa prevede la partecipazione delle famiglie. Nelle riunioni per il portfolio (sic!) dei nostri figli i genitori saranno chiamati ad individuare insieme all'insegnante le propensioni e, di conseguenza, i percorsi più adatti al bambino. A parlare delle sue esperienze, delle sue predilezioni, del suo modo di essere. In una visione limpidamente classista quale quella proposta dal modello manageriale e individualista morattiano avranno buon gioco le professioni dei genitori, le sollecitazioni ricevute in famiglia. E le famiglie dei più deboli? E gli extracomunitari? E i genitori che lavorano ad ore e non possono permettersi il lusso di rispondere alle chiamate cui la scuola li sollecita? Esistono, ci sono: erano coloro che affidavano i bambini alla scuola pubblica, dove le differenze sociali trovavano il luogo dell'annullamento.

La rivoluzione silenziosa prevede un insegnante tutor: dalle 18 alle 23 ore curriculari che significa soppressione di ogni criterio di collegialità, pluralismo, confronto. E disprezzo totale della professionalità e delle specializzazioni nelle aree disciplinari che le insegnanti del ciclo elementare si sono create in anni di formazione. Ma insegnante tutor significa, innanzitutto, risparmio, contrazione. E inserimento anche nel mondo scolastico di un carrierismo mortificante.

La rivoluzione silenziosa inserisce quattro ore tra inglese e informatica all'interno di un orario curriculare di 27 ore obbligatorie. Il numero delle ore è invariato, le discipline aumentano. I nostri figli masticheranno qualche parola di inglese e sapranno accendere un computer. Ma sempre minori sono destinate a diventare le loro conoscenze e le loro competenze in ambiti che, ahinoi, continuiamo ottusamente a considerare fondamentali.

La rivoluzione silenziosa abolisce il tempo pieno come progetto didattico e pedagogico, sostituendolo con un dopo scuola che prevede tre ore opzionali decise dalle famiglie e ben dieci ore di mensa.

La rivoluzione silenziosa non ha copertura economica: per l'accoglienza dei bambini anticipatari, per la formazione degli insegnanti, per l'adeguamento delle strutture.
La rivoluzione silenziosa, infine, che silenziosa non è stata affatto (considerati i miliardi spesi dal Governo in propaganda) ha confinato nel silenzio gli emendamenti proposti persino dall'Udc, che chiedeva la soppressione dei punti centrali del decreto attuativo. E sta tentando di fare altrettanto ignorando la voce di madri, padri, insegnanti, personale Ata e studenti.

La rivoluzione la fanno i popoli, a volte in armi, a volte pacificamente. Per quanto riguarda la scuola pubblica italiana più che ad una rivoluzione sembra di assistere ad un colpo di Stato.


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