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Unità: «Sapete cosa stanno distruggendo?Una scuola che insegna a pensare»

Vincenzo D’Elia e Caterina Tripodi, due generazioni di insegnanti a confronto. «Dopo tanti anni di sacrificio non si può buttare tutto»

14/09/2008
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l'Unità

di Eduardo Di Blasi/ Roma

Vincenzo D’Elia, che ancora oggi insegna all’Ada Negri, ottantasettesimo circolo di Roma, prese il primo stipendio da insegnante di scuola elementare nel 1969, quasi quarant’anni fa: «Erano 111.345 lire», ricorda. E aggiunge: «Non lo dimentico perchè quando sono andato all’ufficio postale non sapevo se piangere o ridere. Mio padre barbiere e mia mamma sarta, chi mai aveva visto tutti questi soldi assieme? Potevo anche andare all’università alla quale mi ero iscritto ma che non ero sicuro di potermi permettere». Nel 1969, ricorda ancora, «la benzina normale costava 130 lire, mentre la super 150-155. Avevo la Seicento di mia sorella. Non c’era ancora stata la crisi petrolifera del ’73». E la scuola italiana, si direbbe continuando questa cronologia, stava per essere investita della più grande serie di riforme che mai avesse visto. Riforme che ne avrebbero cambiato la forma.

Caterina Tripodi ha iniziato quasi dieci anni più tardi. Dal 1995 insegna in uno dei plessi dell’istituto comprensivo di via dell’Archeologia a Tor Bella Monaca, terra di frontiera nella periferia romana. «Ho fatto esperienza di tutti i tempi scuola - si presenta - Attività integrative, poi tempo normale, modulo e ora sto al tempo pieno. Ho sperimentato tutto ciò che c’era di sperimentabile nella scuola». Caterina e Vincenzo sono preoccupati di come una legge per il contenimento dei costi, spacciata per una riforma della scuola, possa mettere in pericolo il futuro dei bambini italiani, e le conquiste di trent’anni di sacrifici da parte di persone come loro. Per comprendere cosa c’entrino le loro singole vite con la trasformazione della scuola pubblica, ascoltiamo Vincenzo: «Il modello che stiamo cercando di difendere è stato costruito in anni di sacrifici, di impegno, di grande disponibilità personale. In anni in cui gli insegnanti si rimboccavano le maniche e non si parlava nemmeno di fondo di incentivazione. Non c’era nelle scuole. Negli anni ’70-’80 tutto questo è nato con il volontariato. Quello che oggi abbiamo, è frutto del sacrificio di persone che hanno voluto una scuola diversa». Ricorda: «Quando ho iniziato a insegnare sentivo l’esigenza di conoscere perchè sapevo di non sapere niente. Nessuno mi aveva insegnato a insegnare. E allora, spesso e volentieri, andavo nelle altre classi perchè volevo capire. Molti colleghi mi guardavano strano, come a dire: "Chi è questo marziano che si permette di venire a vedere la lezione?"».

Seguendo il filo dei loro discorsi ci viene davanti una scuola che ha preceduto le leggi. Già prima del ’71, quando lo Stato intervenne (legge 820) ad assicurare alle classi l’insegnamento aggiuntivo pomeridiano, in quelle che un tempo erano le attività «parascolastiche» (il famoso «maestro di serie B», stipendiato dal Comune, che riuniva i bimbi di chi, lavorando, non poteva andare a riprenderli da scuola all’ora di pranzo), il volontariato aveva creato una sorta di «modulo» ante litteram, con i maestri titolari che dialogavano con quelli del pomeriggio costruendo percorsi formativi. Stessa cosa accadde con il superamento delle classi differenziali (legge 517 del 1977), cancellate con legge sull’onda di un cambiamento della didattica che permetteva di insegnare «a tutti».

Caterina: «I bimbi portatori di handicap sono un arricchimento della classe. È un bene per il ragazzo ma anche per la classe che lo accoglie. Si instaurano relazioni importanti».

Vincenzo: «Soprattutto si impara a capire che la società è multiculturale e va accettata e sostenuta nelle differenze...».

l’Unità: «Anche i genitori dei bambini sono preoccupati...».

Caterina: «Sono stata contattata ancora prima che iniziasse la scuola da alcuni genitori allarmatissimi perchè hanno sentito le interviste in televisione sull’insegnante unico e non hanno creduto al fatto che rimarrà il tempo pieno. Perché si sono documentati, hanno visto i tagli, e hanno capito che alcuni tempi scuola andranno a morire. Così chiedono dopo tutti questi tagli come si faccia a garantirlo. Potrebbe essere "garantito" il doposcuola non il tempo pieno».

l’Unità: «Che differenza c’è?»

Caterina: «Nel doposcuola c’è un insegnate che fa fare i compiti. I genitori però chiedono che il tempo pieno sia tempo pieno, sia scuola, con approfondimenti, progetti. I genitori di Tor Bella Monaca hanno sempre avuto voglia di migliorare la qualità della scuola. Si sono battuti quattro anni fa per il tempo pieno: hanno occupato la scuola. I genitori ci tengono alla cultura, alla conoscenza. Non vogliono tenerli lì buoni...».

l’Unità: «Come sono rispetto a prima gli alunni?».

Vincenzo: «I bambini non sono più i Pierini buoni di una volta, sono dei diavoletti... Non hanno più la capacità di soffermarsi sulle cose. Imparano mille cose ma non riescono a soffermarsi su niente. Hanno dei flash, e la nostra difficoltà è, ad esempio, quella di allungare i tempi di apprendimento, fare in modo che un bambino apprenda per più tempo senza fermarsi all’intuizione immediata, senza che rimanga in superficie. Sono stimolati da migliaia di informazioni diverse, più stimolanti di quello che può essere la parola del maestro unico che per quanto possa essere creativo non riuscirà mai a competere con questo. Oppure impone le regole come dice il ministro. Ma questo non si può fare. I bambini iniziano a dare i calci, a correre, e vengono fuori tutte quelle caratterialità che noi abbiamo cercato di superare con la fine delle classi differenziali e con il riconoscimento che la caratterialità è una modalità del carattere e che si supera in un contesto interattivo in cui il caratteriale non si senta un diverso».

l’Unità: «Le scuole sono anche un presidio sociale in alcuni luoghi...».

Caterina: «Da noi è così. L’anno scorso nel periodo di Natale è stata danneggiata la scuola media e sono venuti tutti insieme genitori e bambini. Abbiamo avuto scene di genitori e bambini che piangevano assieme. E la domenica successiva tutte le famiglie sono scese in piazza a manifestare».

l’Unità: «Non c’è nessun insegnante "pigro" o "fannullone"...».

Caterina: «I pigri esistono dovunque, ma credo che nella nostra scuola non è possibile ce ne siano. Perchè è una scuola dove o ci si rimbocca le maniche dal primo giorno o non ci si rimane».

l’Unità: «Adesso anche le vostre classi sono cambiate. Nei quartieri dove insegnate la percentuale di immigrati è molto alta».

Vincenzo: «È stato graduale. Gli stranieri fanno molto più richiesta di tempo pieno. Perchè le famiglie sanno che la scuola può dare ai figli quello che loro non possono dare, perchè per una famiglia dove non si parla italiano la scuola rappresenta un canale importante».

l’Unità: «Contrari al maestro unico anche se lo siete stati…».

Caterina: «Sarebbe anche peggio di prima. Quando ero insegnante unica dovevo insegnare italiano, matematica, storia, geografia e scienze. Adesso, nell’arco delle ventiquattro ore settimanali, è da inserire religione, informatica, inglese. Finisce che vado a insegnare meno italiano e matematica di quando ero insegnante unica».

Vincenzo: «Dopo tanti anni di sacrificio non si può buttare tutto. Soprattutto si mette in crisi un modello: quello che la scuola insegni a pensare. A creare dei cittadini consapevoli che sappiano programmare il proprio futuro al di là del bene immediato. Con l’insegnante unico si tornerà all’insegnamento frontale, uguale per tutti, che non tenga dentro i tempi di apprendimento di chi non ci arriva la prima volta. E questo con grande danno delle categorie culturalmente più svantaggiate. E poichè oggi non si può dire che culturalmente svantaggiato sia il povero, possiamo pensare che quelli più trascurati sul piano sociale e familiare saranno quelli che saranno anche deprivati della possibilità di apprendimento».

l’Unità: «Il governo afferma che i tagli al personale faranno aumentare i vostri stipendi...».

Vincenzo: «Io non voglio un aumento di stipendio. A me non me ne frega niente di aumentare lo stipendio. Il nostro livello stipendiale non è granchè, ma quello che prendevamo prima era veramente una miseria rispetto al costo della vita».

Caterina: «Non baratterei una cosa del genere per la fine della scuola primaria dove i maestri lavorano in team e gli alunni possono crescere a contatto con persone diverse, arricchedosi».


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