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Unità: roulette asilo, c'è posto per sei bambini su cento

Eppure poter lasciare i figli a scuola è una risorsa per il Paese: al sud ci sono meno asili e le madri non possono cercare lavoro

20/05/2007
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l'Unità

Due settimane fa nelle sedi di molti municipi di Roma pattuglie di vigili urbani sono state chiamate per riportare la calma. Nessuna protesta, si trattava solo delle file per le iscrizioni agli asili nido. La domanda a lettura ottica aveva creato problemi agli sportelli e gli ultimi giorni per presentarla si sono trasformati in veri assalti agli uffici. Fin dall’alba genitori, nonni o amici dei genitori si accalcavano in attesa dell’apertura delle sedi municipali. Alla fine l’assessorato si è scusato e ha concesso alcuni giorni di proroga.
L’episodio rende bene l’idea di come in Italia un posto all’asilo nido equivalga ad un miraggio. Il nostro paese è tra i fanalini di coda in Europa in fatto di copertura dei posti. Peggio di noi stanno solo Spagna (5 bambini su cento vanno all’asilo) e Grecia (3), mentre il resto dell’Unione europea viaggia ad un’altra velocità, tutte sopra il 30 per cento con la Scandinavia che supera il 50 per cento. Una situazione denunciata con forza fin dal 2005 dalla consulta nazionale Ds per l’infanzia intitolata da Gianni Rodari e presieduta da Anna Serafini. Una denuncia che diede vita ad una proposta di legge popolare che ha raccolto ben 200 mila firme. Il contenuto ricalca fortemente quello che il governo ha previsto poi nella Finanziaria 2007. Sono stati stanziati 570 milioni nei prossimi tre anni per un piano straordinario di costruzione di asili e per un sistema integrato di servizi territoriali.
Nonostante l’impegno, però, per noi sarà quasi impossibile rispettare l’obiettivo del 33 per cento entro il 2010, come previsto dall’Unione europea. Il ritardo italiano viene da lontano. La prima legge che parla di asili nido è del 1971, in Scandinavia fin dal dopoguerra mandare a scuola i bambini fino a tre anni era pratica comune. In Italia gli asili sono sempre stati quasi esclusivamente comunali con l’unica novità tentata dalla Moratti nel 2002 con le convenzioni per gli asili aziendali. Novità che ha portato pochi risultati. I Comuni dunque hanno la quasi esclusività del servizio, un servizio molto oneroso per le loro casse. Mediamente destinano agli asili il 10-15 per cento dell’intero bilancio comunale per coprire prestazione dei servizi, costo del personale e acquisto dei beni di consumi. Un servizio che i Comuni più piccoli non possono permettersi (almeno da soli), come testimonia il fatto che solo il 16 per cento dei 8 mila comuni (1273 per la precisione) ne hanno uno.
Delle famiglie che si accalcavano a Roma infatti in Italia solo poco più di sei su dieci otterrà un posto (nel 2005 le liste di attesa nella capitale erano il 42 per cento del totale delle domande presentate), nonostante un aumento dei posti che in città e il fatto che le rette siano le più basse in Italia. Dal 2002 al 2005, secondo dati del Ministero dell’Interno, le liste d'attesa si sono ridotte, nelle città capoluogo, solo dal 36 al 31 per cento, mentre in Sicilia (61 per cento) e Basilicata (55) le speranze di ottenere un posto sono pochissime. Ci sono regioni invece dove il dato è in contritendenza con liste d’attesa in aumento: nello stesso periodo in Abruzzo si è passati dal 23 al 35 per cento, in Campania dal 12 al 28, nel Friuli dal 33 al 45, nel Trentino dal 15 al 36 per cento.
I dati sono di “Cittadinanzattiva” che per la prima volta a passato ai raggi ics la situazione italiana. Una ricerca che ha comparato tutti i comuni, tutte le rette e tutti i servizi erogati dai 3010 asili comunali presenti sul nostro territorio.
Sul tema della presentazione delle domande c’è però da fare una precisazione. Al sud soprattutto moltissime famiglie non provano neanche a farla, sicure che non verrebbero comunque accettate. Un cane che si morde la coda, perché in questo modo i Comuni non si impegnano più di tanto ad aumentare i servizi. Le conseguenze di questa situazione si riversano poi sulla condizione femminile. Le madri sono costrette a seguire i figli e non lavorano. Il tasso medio di occupazione femminile nel Sud è del 22,5 per cento (10,3 punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale) è localizzato solo il 14% dei servizi di asilo nido comunale. Lombardia ed Emilia Romagna sono le regioni capofila, per numeri assoluti e rispetto alla popolazione.
Capitolo a parte riguarda le tariffe, che ogni Comune stabilisce autonomamente. Dall’indagine effettuata dall’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva la spesa media annua (calcolata su 10 mesi di frequenza) per il 2006/07 ammonta a circa 3000 euro, pari a circa il 10 per cento della spesa totale che una famiglia italiana sopporta. Le rette mensili variano molto però. Si va dai 410 euro del Trentino Alto Adige ai 130 della Calabria.


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