Unità: Rottura sui nuovi contratti La Cgil non firma, è scontro
Al tavolo L’esecutivo si presenta con l’obiettivo di rompere con il sindacato più grande Minaccia Il contratto nazionale viene svuotato, quelli aziendali escludono milioni di lavoratori
La crisi può aspettare, i contratti no. Il governo forza e firma l’accordo senza la Cgil, messa di fronte al prendere o lasciare. Soddisfatti Brunetta e Sacconi, Bonanni e Angeletti. Per loro l’intesa è «storica».Il governo «risolve» la crisi con un accordo separato sulla riforma del modello contrattuale, rompendo con la Cgil e mandando in frantumi l’unità sindacale. La firma dell’accordo quadro da parte dell’esecutivo con Cisl, Uil, Ugl, Confsal e Confindustria, Confcommercio, Confesercenti e Confapi è arrivata al termine della maratona di incontri convocati - o almeno così si credeva - per discutere le misure di contrasto al difficile momento economico. Ma non si è vista nessuna misura di sostegno ai redditi né stanziamenti per gli investimenti e neanche per gli ammortizzatori sociali. In compenso i lavoratori italiani, pubblici e privati, hanno un nuovo sistema contrattuale. Se lo dovranno far bastare.
Il governo ha dunque deciso di forzare, invertendo la scala delle priorità, ben sapendo che la Cgil non sarebbe stata d’accordo. Esclusa la parte, nuova, sul pubblico impiego, il testo - che sostituisce il sistema del 23 luglio 1993 - rinvia agli accordi raggiunti nei vari settori, a partire da industria e commercio. La Cgil li aveva respinti «perché - ha spiegato ieri Epifani - il livello nazionale non recupererà mai l’inflazione reale e non si allarga davvero il secondo livello». Inoltre per il leader della Cgil la «derogabilità diventa un principio generale, mentre la bilateralità si allarga a compiti impropri creando una casta». Oggi i datori di lavoro sono più impegnati a licenziare, a ricorrere alla cig: in quanti faranno un contratto integrativo? A ben vedere, poi, una reale estensione del secondo livello non c’è neanche sulla carta. È limitata dalla frase «come da prassi» che consente di applicare le stesse norme fin qui applicate. Senza contare che il rinvio ai vari modelli (uno per settore)distrugge l’universalità del contratto nazionale al quale, peraltro, si può derogare per molte cause. Quanto agli enti bilaterali, altro perno dell’intesa, sono formati da sindacati e imprese e avranno il compito di gestire servizi finora pubblici: come il collocamento o gli ammortizzatori. Epifani parla di «casta», è infatti in arrivo una quantità di “poltrone” per molti sindacalisti. Si paventa infine una limitazione al diritto di sciopero nei servizi pubblici locali.
Il «no» della Cgil è arrivato quando il ministro Sacconi ha consegnato il testo “non modificabile”. «È stato un prendere o lasciare», spiega Epifani, «il governo lo sapeva e ha forzato verso l’intesa senza di noi». «Non sono contento, il paese ha bisogno di unità ma non si può chiedere coraggio a quelli che lo hanno avuto e hanno pagato i prezzi più alti, non si può chiedere responsabilità quando non si è responsabili di fronte a una crisi come questa».
Diversi, ovviamente, i commenti dei firmatari. «È un’intesa che per la prima volta considera il salario non come la derivata di rapporti politici tra sindacati, imprese e governo, ma come la derivata del lavoro», afferma il segretario della Uil Luigi Angeletti. Il collega della Cisl, Raffaele Bonanni si è detto «orgoglioso» di aver contribuito a «costruire un sistema che oggi vale ancora di più, con la crisi che abbiamo». E auspica un ripensamento della Cgil, «senza perdere tempo e senza far perdere tempo agli altri». «Spiace per la Cgil, ma servono riforme», commenta Emma Marcegaglia che ieri ha incontrato Epifani per un ultimo tentativo. I ministri Sacconi e Brunetta esultano, «è un accordo storico», «per la prima volta si abbandona un approccio conflittuale e si afferma un modello cooperativistico», ha detto Sacconi sostenitore della «complicità tra capitale e lavoro». «È l’accordo della complicità per distruggere il contratto nazionale», afferma infatti Giorgio Cremaschi, segretario nazionale Fiom. La Fiom e la Fp hanno una ragione in più per scioperare il 13 febbraio.
FELICIA MASOCCO
ROMA
fmasocco@unita.it