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Unità-Ridiamo voce alle nostre università

Ridiamo voce alle nostre università MARIA CHIARA ACCIARINI LUCIANO MODICA La determinazione è certamente una dote importante per chi governa. Quando però diventa algida insensibilità all...

20/11/2004
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l'Unità

Ridiamo voce alle nostre università

MARIA CHIARA ACCIARINI LUCIANO MODICA

La determinazione è certamente una dote importante per chi governa. Quando però diventa algida insensibilità alle ragioni di chi è governato, la determinazione si trasforma in pesante handicap. Il ministro Moratti rischia proprio di trovarsi in questa seconda situazione, se già non vi è caduta, con le riforme universitarie cui ha messo mano.
La prima è appena comparsa, dopo una lunga gestazione, sulla Gazzetta Ufficiale. È quella che opera un confuso maquillage sulla riforma dell'autonomia didattica voluta nel 1999 dal governo di centro sinistra, quella che, per intendersi, è passata sotto il nome di "3 + 2". Inutilmente tutte le rappresentanze ufficiali del mondo universitario avevano segnalato, per una volta concordi, forti perplessità sulla nuova modifica dell'ordinamento universitario che entrerà in funzione tra uno-due anni e si troverà a convivere con l'ordinamento tradizionale in esaurimento e con quello del decreto del 1999. Tre ordinamenti diversi contemporaneamente presenti: una follia, un vero e proprio tradimento delle aspirazioni degli studenti e del lavoro dei docenti.
Migliaia di docenti, di amministrativi, di studenti hanno dato l'anima, negli anni scorsi, per ripensare profondamente e innovare l'organizzazione didattica universitaria, per affermare l'autonomia didattica degli atenei, per difendere la flessibilità formativa nei tempi e nei contenuti dei percorsi e dei curricula, per rompere l'isolamento autoreferenziale delle università, per innalzare il livello di istruzione del Paese portando quote crescenti della popolazione ad una formazione universitaria di qualità che permetta di inserirsi in una società della conoscenza e di orientarsi culturalmente nella sua complessità. Riconoscono che non tutto ciò che è stato realizzato negli atenei è da giudicarsi positivamente; ma sanno che sarebbe servita piuttosto una fase di autonomo ripensamento, aiutato da poche necessarie correzioni migliorative alla riforma del 1999, che non la demolizione e ricostruzione dell'intero edificio dell'offerta formativa. Vedono accolte le ansie di restaurazione dei conservatori di destra e di sinistra, nostalgici di un passato tutt'altro che aureo, e non l'ansia di rinnovamento che aveva pervaso tante università.
L'altra scelta governativa riguarda lo stato giuridico dei docenti (professori e ricercatori), inchiodato da ventiquattro anni nonostante il cambiamento straordinario della società, delle università e dello stesso quadro legislativo che da quindici anni ha messo in primo piano, secondo Costituzione, l'autonomia degli atenei. Il disegno di legge Moratti, che ha finora superato il vaglio solo di una commissione di una delle Camere, ha suscitato un moto di protesta nelle università, esteso e sentito come non si vedeva da tempo. Non ci si attendeva certo queste norme: una precarizzazione continua incurante dei rischi sulla libertà intellettuale e sull'innovatività culturale del Paese, la messa ad esaurimento di più di un terzo dei docenti, l'abolizione del tempo pieno, il ritorno al centralismo concorsuale. Né peraltro il mondo universitario vuole lasciare tutto invariato, anzi: chiede un nuovo quadro chiaro dei doveri e dei diritti dei docenti nelle università autonome, una vera carriera basata sul merito sia nel reclutamento che nelle promozioni, un riconoscimento dell'impegno di chi scelga di dedicarsi esclusivamente all'attività universitaria, un inserimento immediato di giovani in un ambiente lavorativo terribilmente invecchiato, un'iniezione di risorse finanziarie significative per non far morire di inedia le università.
I docenti, gli studenti, i tecnici e gli amministrativi si sentono dunque trascurati e traditi dal ministro, si sentono università tanto vera e reale quanto politicamente afona.
Un gruppo di universitari e di parlamentari del centro sinistra ha deciso che è giunto il momento di dare voce alle università, su questi come su altri temi cruciali per il futuro: diritti degli studenti, unitarietà del sistema del sapere (scuola, università, ricerca), governo degli atenei, valutazione della qualità di didattica e ricerca, nuove regole e risorse per la ricerca libera. Il loro appello, sottoscrivibile sul sito www.bur.it, ha raccolto in dieci giorni oltre 1600 firme e centinaia di adesioni alla manifestazione che si terrà sabato 20 mattina a Roma. È l'appello di quanti nelle università vogliono essere ascoltati, vogliono portare le proprie esperienze affinché si riprenda con vigore, appena possibile, il cammino di innovazione che oggi appare interrotto e talora percorso a ritroso. Siamo convinti che merita ascoltarli, in Parlamento e nella società intera, perché lo merita il futuro di noi tutti, perché l'obiettivo di Lisbona "Fare dell'Europa entro il 2010 l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale" non rimanga - in Italia - solo una bella utopia.


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