Unità: Ricomincia la scuola. Ma senza le tre «i»
Marina Boscaino
In principio fu la Moratti: con un allegato al primo decreto attuativo della cosiddetta riforma a lei intitolata, introduceva nella scuola italiana le Indicazioni Nazionali. Un surrogato di programmi scolastici per la scuola dell’infanzia, per la primaria e la secondaria di I grado che - nonostante il fantasioso (e illegittimo) metodo di presentazione e di inserimento nella vita scolastica italiana - vennero considerate talmente prescrittive dalle case editrici che in molte adeguarono i propri libri di testo all’anomalo impianto in men che non si dica. Il problema non fu di poco conto: si pensi a quanta incidenza ha - su quel principio costituzionale che è la libertà di insegnamento - la scelta del cosa, del quando e del come si decida di insegnare. E a quali conseguenze quel cosa, quel quando e quel come possano avere sulla formazione di futuri cittadini. Un campo minato delicatissimo, come tale recepito da una parte competente, critica e politica degli insegnanti italiani: che, proprio grazie a quell’iter improvvisato e illegittimo, ebbero buon gioco nel rifiutare radicalmente i programmi imposti (e, di conseguenza, i testi riformati) e continuarono a seguire quelli precedenti. La scelta - coraggiosa - portò allo sdoppiamento dei contenuti e alla conseguenza naturale di una generazione di bambini con riferimenti, conoscenze, competenze completamente differenti.
Sono state - le Indicazioni Nazionali della Moratti - la «punta di diamante» della grottesca rappresentazione della scuola delle «tre i». Avevamo sperato in una cancellazione delle Indicazioni. Ci troviamo davanti - con quelle nuove - ad una revisione. Ma certamente epurata delle parti più oscurantiste, selettive in senso sociale, anche se rimangono inalterate alcune criticità. Innanzitutto l’impianto ideale. Valentina Aprea qualche giorno fa ha sottolineato come quella della Moratti fosse una scuola della selezione: una parola che evoca scenari raccapriccianti, soprattutto se applicata a bambini dai 3 ai 13 anni. E certamente informato a quel concetto retrivo di selezione era l’indugio, il ricorso continuo alla centralità della persona, che - scisso dalle connotazioni comunitarie - risulta convogliare esclusivamente una dimensione individualistica, in un’apologia di valori che con la scuola pubblica poco hanno a che fare: selezione, appunto, competizione, successo. La centralità dello studente, invece, collocata in una dimensione comunitaria - imprescindibile dall’idea di scuola - esalta valori quali l’inclusione, la cooperazione, l’accoglienza, il dialogo. Ritorna, con le Nuove Indicazioni, la scuola del curricolo, che - attraverso un’adeguata interpretazione dell’autonomia scolastica - individua la comunità professionale come principale motore dell’elaborazione: il curricolo come conseguenza della riflessione, del confronto, della negoziazione; e comune denominatore delle singole progettazioni, in una sinergia tra professionalità e discipline che favorisca l’educazione e miri intenzionalmente alla formazione dell’uomo e del cittadino. Un curricolo che privilegia le discipline tradizionali (italiano, matematica, storia, geografia, scienze) con la colpevole sottovalutazione - a dire il vero - di elementi fondamentali per la conoscenza e la comprensione del reale, come la tecnologia. Quel che è certo è che - a parte il sospiro di sollievo e l’innegabile, decisivo miglioramento rispetto al testo precedente - chi determina i destini della scuola italiana stenta ancora a stare al passo con i cambiamenti che la complessità del mondo in cui viviamo ci richiede. E continua ad essere elusa sostanzialmente la domanda di una cultura diversa.
«Le scuole sono tenute da quest’anno all’elaborazione dei curricola per una prima fase di sperimentazione che si chiuderà nel 2009», come si legge nel comunicato stampa. L’anno seguente entreranno a regime. A tutte le donne e a tutti gli uomini di buona volontà della scuola italiana si sta dunque offrendo la possibilità di lavorare concretamente su un progetto che inveri un’idea di scuola realmente capace di captare e selezionare tendenze, bisogni, richieste della collettività e trasformarli in cultura, benessere, cittadinanza. Sembrerebbe una proposta irrinunciabile, per chi creda nella funzione della scuola pubblica. Mettiamoci dunque al lavoro. Esigendo dal Governo che ai buoni propositi conseguano concrete manifestazione di valorizzazione e di apprezzamento per quanti si impegnano con passione e dignità.