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Unità: Ricerca: la sfida dell’Europa al resto del mondo

IL SETTIMO programma quadro verrà approvato tra pochi giorni dall’Unione Europea. Prevede più soldi e un Consiglio europeo per la ricerca: basterà per battere gli Stati Uniti e le altre nazioni?

12/06/2006
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l'Unità

di Pietro Greco

Giovedì prossimo, 15 giugno, il Parlamento europeo approverà il Settimo Programma Quadro (FP7) per la ricerca scientifica e tecnologica. Ovvero il programma che modellerà la politica della scienza dell’Unione europea dal 2007 al 2013. Il Consiglio dei ministri dell’unione, lo scorso 30 maggio, ha stabilito che FP7 sarà finanziato con 50,5 miliardi di euro. Non sono pochi, ma sono inferiori di quasi il 40% ai 72,7 miliardi di euro previsti fino allo scorso anno. Malgrado il taglio, il budget annuale che l’Unione europea investirà nella ricerca scientifica e tecnologica sarà superiore di circa il 60% a quello investito negli anni scorsi. La prima e - forse - la maggiore novità è la creazione del Consiglio europeo della ricerca (ERC). Il Consiglio godrà di un budget di 7,5 miliardi di euro da spalmare nei sette anni. Con ERC, per la prima volta nella sua storia, l’Unione realizzerà progetti europei nella ricerca di base e, comunque, curiosity-driven (motivati dalla sola voglia di conoscere). Finora Bruxelles aveva finanziato e realizzato solo progetti nel campo della scienza applicata e dello sviluppo tecnologico.Il Consiglio europeo delle ricerche dovrà favorire progetti di assoluta eccellenza, anche se proposti da singoli centri e persino da singoli ricercatori che potranno essere finanziati anche con un milione di euro. La speranza è che grazie alla creatività di oltre un milione di ricercatori a tempo pieno e senza troppa burocrazia nasca una «scienza d’eccellenza» europea.

Naturalmente la parte restante del budget (43 miliardi di euro) andrà, come al solito, alla ricerca applicata e allo sviluppo tecnologico in nove diverse aree strategiche: salute, agricoltura e biotecnologie, tecnologie informatiche e della comunicazione, nanoscienze e nanotecnologie, energia, ambiente e clima, trasporti e aeronautica, scienze sociali, spazio e sicurezza. Nelle intenzioni della Commissione, il Settimo programma quadro per la ricerca dovrà essere diverso dagli altri anche perché l’attenzione sarà focalizzata sui temi, piuttosto che sugli strumenti. Non c’è dubbio che FP7 costituisca un passo in avanti verso la creazione di quello «spazio europeo della ricerca» proposto, anni fa, da Antonio Ruberti. Ma sarebbe sbagliato pensare che FP7 possa fornire una risposta a tutte le grandi questioni aperte della ricerca europea. Quali sono? Almeno tre.

La prima questione è quella posta a Lisbona da un Consiglio europeo straordinario nell’anno 2000: fare dell’Unione europea la regione leader al mondo dell’economia della conoscenza entro il 2010. Questo obiettivo stenta a realizzarsi. Anzi, come scrive l’inglese Christopher Patten, Chancellor delle università di Oxford e Newcastle, sull’ultimo numero di Nature, il contributo europeo al progresso globale della scienza e alla promozione dell’insegnamento è in declino. Opporsi a questo declino è possibile. Ma occorrerebbe una volontà politica forte e determinata che stenta ad affermarsi. L’Italia è uno dei paesi fondatori dell’Unione e il nuovo governo molto può fare per cercare di coagularla, questa volontà politica. La seconda questione è una diretta e concreta conseguenza della prima. Occorre che entro il 2010 l’Unione investa in ricerca scientifica e tecnologica almeno il 3% del suo prodotto interno lordo, indicato dal Consiglio europeo di Barcellona nel 2002. Attualmente l’Europa investe circa il 2% e, quindi, si tratterebbe di aumentare di oltre il 50% la spesa della ricerca entro i prossimi quattro anni. Una sfida necessaria: sia perché Stati Uniti e Giappone da molto tempo investono una simile quota della ricchezza nazionale, sia perché i nuovi paesi emergenti - soprattutto in Asia - promettono di fare altrettanto. La Corea del Sud e Taiwan, per esempio, già si muovono su questi ordini di grandezza. Mentre la Cina, che investe in ricerca intorno all’1,5% del Pil, sta aumentando la spesa a un ritmo superiore al 20% annuo. E nel prossimo futuro è probabile che anche l’India faccia uno sforzo analogo.

Una terza questione aperta è il fatto che tuttora il 95% della spesa europea per la ricerca è realizzata dagli stati nazionali e solo il 5% viene realizzata da Bruxelles. Ciò significa che, in questo momento, nell’Unione vi sono 25 politiche diverse - e talvolta divergenti - della ricerca.

Insomma, il Settimo programma quadro che verrà approvato dal Parlamento europeo giovedì prossimo apre nuove prospettive. Alcune davvero interessanti. Ma non risolve - né potrebbe - le grandi questioni aperte della scienza europea. Il dibattito nel parlamento di Strasburgo potrebbe, invece, chiarire quale sarà l’atteggiamento europeo riguardo alla ricerca sulle staminali. C’è, infatti, in discussione un emendamento sulla possibilità di finanziare, anche col VII programma quadro, la ricerca sulle staminali embrionali. Questa possibilità, contro la quale si sono schierati i vescovi cattolici europei, potrebbe essere facilitata dalla posizione assunta dal nuovo ministro per la ricerca Fabio Mussi, che ha ritirato la firma dell’Italia a un documento contrario alla ricerca sulle staminali embrionali voluto da Germania, Polonia, Slovenia, Austria e Malta.


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