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Unità: Ricerca: ecco i soldi europei per i prossimi 7 anni

IL SETTIMO programma-quadro viene presentato oggi a Roma. I punti di forza: un aumento dei finanziamenti del 60% e il tentativo di porre le basi per una politica comune di tutti i Paesi dell’Unione

29/01/2007
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l'Unità

di Pietro Greco

Non è ancora lo «spazio europeo della ricerca», auspicato da Antonio Ruberti. E non è neppure lo strumento operativo in grado di realizzare la grande utopia di Lisbona: fare dell’Europa il leader mondiale dell’economia della conoscenza. Ma il Settimo Programma Quadro dell’Unione Europea (FP7) per la scienza e la tecnologia è un buon passo verso la giusta direzione: creare una politica comune per la ricerca tra i 27 stati membri e consentire all’Europa di avere un ruolo da protagonista nella nuova geopolitica del sapere scientifico.

FP7, che è partito il primo gennaio e terminerà fra sette anni, il 31 dicembre 2013, viene presentato ufficialmente oggi a Roma, a Palazzo Corsini, presso l’Accademia nazionale dei Lincei, dal Commissario europeo per la ricerca, Janez Potocnik, dal Ministro per l’università e la ricerca, Fabio Mussi, e dal Ministro per le politiche europee, Emma Bonino.

Il programma ha una dotazione complessiva di 53,2 miliardi di euro, cui vanno aggiunti altri 2,8 miliari assegnati ai progetti Euratom (ricerca nucleare), per un totale di 56 miliardi di euro. In pratica nei prossimi sette anni Bruxelles spenderà 8 miliardi di euro in media l’anno per la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico. Non è poco. Ma non è neppure moltissimo. Si tratta del 4% della spesa complessiva per la ricerca realizzata nell’Unione (circa 200 miliardi di euro l’anno). Certo, a queste cifre andrebbe aggiunta la spesa comunitaria per incentivare la ricerca industriale. Ma è altrettanto certo che oltre il 90% degli investimenti in ricerca in Europa sono decisi a livello nazionale, secondo progetti poco coordinati tra loro e spesso addirittura divergenti. Tuttavia i fondi messi a disposizione dello scienziato europeo dal Settimo Programma Quadro sono del 60% superiori a quelli messi a disposizione dal programma precedente. Un discreto salto, dunque, che punta nella giusta direzione.

Ma non si tratta solo di quantità. FP7 rappresenta anche, e forse soprattutto, un salto rilevante per qualità. Perché, nell’ambito del Programma «Idee», finanzia con un miliardo di euro l’anno la creazione del Consiglio Europeo della Ricerca (CER). Un’agenzia europea che ha due caratteristiche davvero innovative. Il CER, infatti, finanzierà, proprio come l’americana National Science Foundation, ricerca fondamentale - o, come si dice adesso, curiosity-driven - sulla base del solo criterio dell’eccellenza, senza badare ad alcun altro fattore geopolitico. È la prima volta che Bruxelles finanzia la ricerca di base, settore tenuto finora gelosamente sotto il proprio monopolio dai governi nazionali. Per questo rappresenta un passo, magari piccolo ma molto significativo, verso lo «spazio europeo della ricerca». Tanto più che la gestione del Consiglio Europeo della Ricerca sarà tutta e solamente scientifica, senza alcun intervento politico.

FP7 ha altri tre grandi settori di intervento. Il Programma «Capacità» finanzierà (con 4,1 miliardi complessivi) la creazione di strutture comuni di ricerca. Ambito nel quale l’Europa vanta già grandi tradizioni (basti pensare al Cern di Ginevra), ma che va ampliato sia per sostenere grandi progetti di ricerca sia per creare più luoghi fisici di incontro degli scienziati europei e cementare l’idea di un’impresa comune.

Il Programma «Persone» provvederà, con 4,8 miliardi di euro, a finanziare la mobilità degli scienziati tra i diversi paesi ma, soprattutto, le capacità e l’intraprendenza dei giovani scienziati. In quasi tutti i paesi europei, infatti, i giovani - anche quelli bravissimi - faticano a trovare spazio. Quello spazio che viene spesso concesso loro in paesi più aperti. La speranza dunque è che FP7 conceda ai giovani valenti quegli spazi negati dai loro paesi.

Il Programma maggiore di FP7 è, tuttavia, quello denominato «Cooperazione», con una dotazione di ben 32,4 miliardi di euro. Si fonda sulle medesime regole del passato. Chi vuole fare ricerca in questo ambito, deve trovare necessariamente dei partner in altri paesi. Con tre svantaggi per lo scienziato europeo: la necessità di creare partnership forzate e con un vago fumus geopolitico, la necessità di inviare montagne di carte a Bruxelles, la necessità di proporre progetti che piacciano ai «burocrati di Bruxelles». Tuttavia il programma ha un aspetto positivo: obbliga gli scienziati europei a cooperare tra loro. A pensare europeo. Che è una condizione forse non sufficiente, ma certo necessaria per creare lo «spazio europeo della ricerca». E per consentire all’Unione se non di diventare leader, quanto meno di non farsi staccare troppo da altre aree geopolitiche del mondo nella corsa verso la società della conoscenza.


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