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Unità: Ragazzi «da legare»: quell’irresistibile voglia di alzarsi dai banchi

Mentre i ragazzi si esibiscono nello spettacolo di fine anno: danza jazz, break dance, musica rock a volume assordante, noi insegnanti siamo ad assisterli, ammutoliti e compiaciuti, sugli spalti di un piccolo palazzetto dello sport, di fronte alla scuola

12/06/2006
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l'Unità

Luigi Galella

Mentre i ragazzi si esibiscono nello spettacolo di fine anno: danza jazz, break dance, musica rock a volume assordante, noi insegnanti siamo ad assisterli, ammutoliti e compiaciuti, sugli spalti di un piccolo palazzetto dello sport, di fronte alla scuola.

Applaudiamo, ci complimentiamo della loro spigliatezza di fronte al pubblico, sorridiamo, commentiamo fra noi. Ma come spettatori. Come se questi progressi «conoscitivi», queste loro «competenze», non ci riguardassero. E infatti li ammiriamo quasi non riconoscendoli negli abiti da «scena». C'è tra loro un'esigenza di corpo, di corporeità da affermare ed esibire, una pulsione dionisiaca e liberatoria che deborda ovunque, e che chiede alla scuola d'essere sdoganata. Noi abbiamo consentito che si manifestassero queste loro «abilità», certo, ma in realtà ne siamo estranei e in fondo le guardiamo con sospetto. Non sono «scuola». Anzi, sappiamo che durante l'anno per coltivare le loro passioni hanno sottratto tempo prezioso allo studio. E ora che la didattica si è conclusa e tanti di noi sono insoddisfatti dei risultati, restiamo con l'animo diviso tra il piacere di verificare le loro qualità, alla «Amici» per intenderci, e il rammarico per tutto ciò che delle nostre singole discipline non hanno appreso.

Chiunque abbia svolto studi universitari sa che lo studio, quello vero, richiede una dedizione assoluta. Ore e ore in biblioteca, in laboratorio, sui banchi a lezione o nella propria camera, concentrati, senza troppe distrazioni. Tutto il giorno. Tutti i giorni. Fino alla laurea. E per chi vuole raggiungere veri risultati anche dopo. Con lo studio, quello serio, non si scherza. Rita Levi Montalcini, a novantasette anni, lavora ancora dodici ore al giorno. Con lo stesso spirito di quando era una studentessa universitaria.

È chiaro che se pensiamo alla scuola di massa quello della Montalcini non può essere l'unico modello. Anche perché la realtà nel frattempo, soprattutto negli ultimi decenni, si è costruita diversamente, non tanto privilegiando le attività teoriche, quanto quelle corporee o ludiche. Viviamo in un tempo sempre meno apollineo. Ci piace esaltarci per le gesta sportive dei nostri eroi durante la domenica e continuare a occuparcene, fra polemiche e litigi, nel resto della settimana. Ho visto in tv ragazzi ubriacarsi nei pub e gettarsi nelle fontane per la prima risicata vittoria dell'Inghilterra ai mondiali di calcio. Ecco un trait d'union tra la cultura laica e quella cattolica: sono entrambe in crisi. In crisi è il modello greco, dell'armonia e della razionalità, e in crisi è il modello cristiano, del sacrificio del corpo. In crisi la razionalità e la spiritualità, a vantaggio del corpo. Che tuttavia quando diventa attore sembra quasi non sapersi misurare e contenere. Come se avesse una naturale tendenza all'eccesso e a qualcosa che, nell'eccesso, lo rendesse prossimo paradossalmente a un cupio dissolvi. Più tardi, nella sala insegnanti, sistemo il registro in vista degli ultimi consigli di classe. C'è un collega di Educazione Fisica che mi avvicina e si sfoga: l'educazione fisica a scuola è una farsa. «Solo due ore a settimana e per giunta dobbiamo pure dedicare tempo alla teoria, ma ti rendi conto? I ragazzi hanno bisogno di fare sport, di muoversi, di correre. E noi che facciamo? Gli diamo altri libri da studiare, ma è pazzesco».

Muoversi, correre, certo. E io penso al contrario a quanto poco i ragazzi oggi sappiano stare fermi. E a come sia difficile anche semplicemente tenerli in classe. Alle loro gambe, che si allungano irrequiete sotto i banchi, alle sedie che dondolano, alle teste che si abbattono sulle spalle dei compagni. Ai loro corpi giovani. Eccitati nelle sere e nelle notti dei week-end e in sonno al lunedì. E all'estate e alle sfrenatezze marittime e notturne che li attende. Prima di far ritorno a scuola, a settembre, dove mente e corpo torneranno a confliggere. E faranno sentire, ognuno, l'urgenza del proprio esserci, a scapito dell'altro. Io allora nuovamente sarò con loro, a registrare le mille lotte di classe, che li liberano e li opprimono. Nel tentativo di conciliare, di mediare, di ricomporre. Compagno di strada della loro nuova avventura.

luigalel@tin.it


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