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Unità: Questionario ai bimbi islamici, bufera sulla scuola

Brescia, la comunità pachistana protesta: «Iniziativa razzista». Il preside: un errore

23/11/2006
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l'Unità

di Susanna Ripamonti

«CHI È MUSULMANO alzi la mano». Brescia, scuola media Giovanni Pascoli, i ragazzi italiani della prima D, guidati da una loro insegnante, decidono di fare
un’inchiesta tra i loro compagni stranieri, 240 alunni su 760, appartenenti a 43 diverse nazionalità. Partono dai musulmani, anche perchè è soprattutto nei loro confronti, dopo il trauma dell’uccisione di Hina, che si rilevano i maggiori pregiudizi. Ma partono col piede sbagliato, utilizzando proprio quegli stessi pregiudizi per sondare cosa significa per loro essere musulmani, come percepiscono l’Italia, cosa pensano dell’integralismo. Distribuiscono infatti un questionario, tre domandine, a risposta chiusa (che riportiamo qui di fianco) che ad esempio chiedono: «cos’è l’integralismo?» Risposte possibili: usare la violenza per convincere chi ha un’opinione contraria; Imporre con forza la cultura musulmana. È integralista anche chi, ad esempio, impone la cultura cattolica interferendo con le leggi dello Stato italiano, ma il questionario tralascia questa opzione, come se l’integralismo fosse solo espressione del radicalismo islamico.
La prima ad insorgere è stata la comunità pachistana. Sajad Hussain, fondatore dell’associazione culturale Muhammadiah dice: «già ci sembra poco dignitoso che qualcuno entri in classe e dica: “chi è musulmano alzi la mano”. Ci richiama alla memoria il periodo delle leggi razziali». E si chiede: «Qual è il fine educativo di questa iniziativa? Sviluppare la conoscenza e il rispetto reciproco o avallare pregiudizi e indurre ghettizzazioni? I programmi ministeriali non prevedono di verificare quanto siano fondamentalisti i bambini musulmani». L’associazione, che rappresenta buona parte degli immigrati pachistani ha sempre sostenuto che «la vera integrazione passa attraverso la scuola pubblica statale dove i nostri bambini possono avere un terreno aperto al confronto continuo, come solo i bambini sanno avere e dal quale nasce davvero la multiculturalità». E laicamente afferma: «Noi riteniamo che un approccio positivo per i bambini, tutti i bambini, debba partire dalla cultura per poi arrivare alla religione. Rifiutiamo lo schema: musulmano=integralista= pericolo per l’Italia».
Il preside, Nino Mazzarella, ammette con imbarazzo che «si è trattato di una scivolata, di un errore, commesso da un’insegnante che per altro ha cercato di condurre un ottimo lavoro sui temi dell’integrazione, ma in questo caso non ha saputo gestire la comunicazione». Fulvia Piccini, che si occupa di facilitazione linguistica, si dissocia dalla collega: «Quel questionario non lo posso difenmdere, è sbagliato e ha toccato un nervo scoperto, offendendo i genitori, che non sono stati in nessun modo coinvolti. Il primo errore è proprio l’assenza di un percorso condiviso. Ma questa iniziativa,era inserita in un lavoro serio condotto in quella classe».
La prof sotto accusa ha scritto una lunga lettera di scuse ai genitori. Spiega che dopo i delitti di agosto, alla riapertura della scuola percepiva «tensioni e malumori tra gli alunni». Ha avviato un lavoro di lettura dei giornali, per evidenziare che le generalizzazioni si fondano su pregiudizi, che «l’integralismo è un atteggiamento di intolleranza e chiusura che può appartenere a tutte le culture». Descrive tutte le attività fatte per dar voce alle diverse culture (nella sua classe il 50% dei bambini è straniero). Quanto al questionario, dice che i termini utilizzati «sono gli stessi che fanno parte della comunicazione giornalistica». E qui sta il problema: se il suo lavoro è partito dalla critica agli stereotipi giornalistici, perchè riproporli, dimostrando di condividerli?


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