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Unità: Quelli dal futuro senza pensione

Sto parlando del mondo degli atipici, spesso precari. Di coloro che vagano tra un lavoro e l'altro con contratti via via rinnovati, spesso con periodi rimasti vuoti di lavoro e di contributi. La loro sorte, disegnata da inchieste, sondaggi, studi dovrebbe provocare indignazione.

05/03/2007
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l'Unità

Quelli dal futuro senza pensione

Bruno UgoliniÈ stata considerevole la mobilitazione promossa dalle Confederazioni e dai sindacati di categoria, cominciando dalle Federazioni dei pensionati per finire con i metalmeccanici, attorno alle pensioni. E’ stato uno dei fatidici punti affrontati da Romano Prodi per riottenere la fiducia al governo di centrosinistra, parlando soprattutto di pensioni più basse (quelle degli anziani già a casa) e di giovani che rischiano di non vederle mai le benedette pensioni.

Ma ecco, nella sinistra sociale, tutti intenti a mettere paletti in vista dei futuri confronti, della futura concertazione. Tutti a discutere su come impedire l'innalzamento, privo di criteri e d’incentivi, dell'età pensionabile. Tutti ad annunciare no decisi al ritocco dei cosiddetti coefficienti (quelli che servono a determinare l’entità delle suddette pensioni). Tutti a rivendicare, giustamente, l'aumento di pensioni miserabili. Non è stato però altrettanto evidente un paragonabile assillo nei confronti di una parte del mondo del lavoro che le pensioni rischia proprio di non vederle mai. Oppure di poterle assaporare magari a 90 anni e in entità davvero infime, disperanti. Sto parlando del mondo degli atipici, spesso precari. Di coloro che vagano tra un lavoro e l'altro con contratti via via rinnovati, spesso con periodi rimasti vuoti di lavoro e di contributi. La loro sorte, disegnata da inchieste, sondaggi, studi dovrebbe provocare indignazione. Le stesse proiezioni della Ragioneria dello Stato hanno rilevato che l’assegno di quiescenza a pensione futura dei giovani dipendenti d’oggi si attesterà al 50 per cento della loro retribuzione attuale. Tutto deriva dal fatto, com’è emerso dall’ultima inchiesta condotta dall’Ires-Cgil (vedi la relazione di Giovanna Altieri) che, ad esempio, un collaboratore su due guadagna meno di mille Euro il mese, spesso lavorando anche più di 38 ore a settimana.

Non bastano i cortei che denunciano il fenomeno del precariato, proclamando solenni giuramenti, se poi quando capita di promuovere norme e diritti dei precari ci si dimentica o quasi. E forse dobbiamo ad una voce chiara, quella di Guglielmo Epifani, se la questione della precarietà è stata pienamente assunta da Romano Prodi nella relazione prima del voto al Senato e poi ribadita alla Camera (ma non era compresa nei famosi dodici punti).

C'è nel frattempo qualche buona notizia per una parte di tale lavoro atipico: quello rappresentato da coloro che si chiamavano lavoratori interinali o lavoratori in affitto e oggi si chiamano in somministrazione. E’ stata, infatti, raggiunta per loro un’intesa tra NIdiL-Cgil, Alai-Cisl, Cpo-Uil e Assolavoro (l’associazione che rappresenta, appunto, le agenzie interinali). E così questi lavoratori avranno diritto alla previdenza complementare attraverso un fondo contrattuale. Questo, secondo i sindacati, è positivo, anche se bisognerà tener conto della difficoltà, per chi lavora in modo saltuario e discontinuo, "di accumulare abbastanza contributi per avere in futuro una pensione pubblica dignitosa". Un ragionamento che vale anche per altre componenti di questo popolo dei flessibili. Nella recente legge Finanziaria, anche per merito del ministro del lavoro Cesare Damiano, sono state però introdotte nuove misure, atte a favorire processi di stabilizzazione, a disporre tutele !

e diritti. Per quanto riguarda le future pensioni è confermato l’aumento dell’aliquota previdenziale. Ma come impedire che questo esborso ricada sui magri compensi dei precari? E’ stata recepita, ha informato il Nidil, una norma di salvaguardia. Nonché un aggancio dei compensi ai contratti di lavoro. E così si apre la strada a redditi più alti e ad “uno scenario pensionistico migliore”. E’ evidente, ha commentato ancora il Nidil, “che un’operazione d’aumento dei contributi previdenziali non poteva essere accettata senza un’adeguata garanzia sulla tenuta dei compensi dei lavoratori, evitando per l’ennesima volta di scaricare su questi ultimi l’ulteriore costo contributivo”. Speriamo.

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