Unità: Quando si nega il diritto al sapere
a Bergamo è passato un accordo, firmato da Cisl e Uil, che riduce a 16 ore annue la formazione degli apprendisti contro le 120 ore previste dalle norme e dai contratti
Gli accordi separati tra sindacati non si fanno solo a Roma. Succede che tale eventualità approdi nei territori, nelle provincie. E’ successo nella tranquilla e operosa Bergamo. Non perché i locali dirigenti delle diverse organizzazioni abbiano voluto obbedire a direttive giunte dall’alto, come qualcuno ha insinuato. Non è il gioco del domino. La rottura bergamasca ha una sua logica autonoma. Dimostra però come alberghino sempre più nei sindacati “filosofie” diverse che possono certo propagandare strappi a catena. Su questi elementi dovrebbero interrogarsi commentatori e politici invece di invocare genericamente l’unità o lanciare anatemi all’uno o all’altro.
Qui ad esempio era in gioco il “diritto al sapere”, il diritto alla conoscenza, il diritto alla formazione. Sono parole, slogan di cui politici, studiosi ma anche dirigenti sindacali si riempiono ogni giorno la bocca. E’ la ricetta, il passaporto, lo scudo necessari soprattutto in questi tempi di crisi. Il tuo livello di “occupabilità” per usare un gergo diffuso, aumenta, se hai una formazione professionale continuamente adeguata. E’ l’imperativo del giorno attorno al quale bisognerebbe imbastire piattaforme, vertenze, accordi. Ebbene malgrado tutto questo discettare, sancito solennemente dagli accordi di Lisbona in campo europeo, a Bergamo è passato un accordo, firmato da Cisl e Uil, che riduce a 16 ore annue la formazione degli apprendisti contro le 120 ore previste dalle norme e dai contratti. Un taglio netto concordato da Cisl e Uil con "Imprese e territorio”, il comitato unitario che riunisce associazioni imprenditoriali rappresentative del mondo dell’artigianato e delle piccole imprese. La Cgil non c’è stata, ha protestato. Ha osservato tra l’altro Luigi Bresciani segretario della Camera del lavoro: “Evidentemente l'apprendista viene visto come un impaccio”. Oltretutto è stato fatto osservare come la nuova organizzazione non consentirebbe nemmeno di avvalersi dei percorsi formativi finanziati dalla Provincia e dalla Regione.
La vicenda interessa ben dodici mila giovani bergamaschi. Perché questa scelta di marginalizzare le loro possibilità formative? Per rendere più appetibili i loro costi? E’ uno scambio tra il diritto al sapere e i promessi enti bilaterali chiamati a gestire quel che resta della formazione? La lettura dei giornali locali permette di conoscere le posizioni della Cisl locale. Che accusa la Cgil di essere preda di un virus proveniente da Roma. Il sindacato di Epifani vorrebbe solo “affidarsi a un movimentismo privo di ogni obiettivo contrattuale”. Siamo a questo punto. Sembra di capire che è stata imboccata una strada. Costi quel che costi. Anche a costo di ridurre a16 ore all’anno il diritto al sapere.
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