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Unità-Primo: abrogare la Moratti (con i disastri non si scherza)

Primo: abrogare la Moratti (con i disastri non si scherza) Marina Boscaino Domenica in Piazza del Popolo le parole scuola e istruzione sono state ripetute tante volte. Come ha osservato dal palc...

11/10/2005
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l'Unità

Primo: abrogare la Moratti (con i disastri non si scherza)

Marina Boscaino

Domenica in Piazza del Popolo le parole scuola e istruzione sono state ripetute tante volte. Come ha osservato dal palco Mariangela Melato un paese che non investe nella scuola, nell'istruzione, è un paese che considera la cultura un di più, qualcosa di non indispensabile e anche di poco utile. È così che la disattenzione e l'incuria che da sempre caratterizzano l'azione del governo Berlusconi nei confronti della scuola, dell'istruzione, della ricerca, si sono riversate oggi sullo spettacolo, sull'arte e sulla cultura; quasi a suggellare, con un doppio nodo nero, il destino comune di tutti gli elementi che rappresentano più evidentemente l'identità di un paese. Tutto ciò in cui - secondo quei politici - l'Italia merita di identificarsi è evidentemente il sorriso finto e stereotipato delle veline o la raffinata capacità di mentire e di aggredire mentendo che molti esibiscono nello spettacolo triste dell'urlo e dello sberleffo cui ci hanno abituati e che impropriamente chiamano politica. Per questo ancora di più mi insospettiscono, mi inquietano le dichiarazioni di quella parte dell'opposizione che ha preso le distanze rispetto all'eventuale abrogazione della cosiddetta riforma Moratti, qualora fosse il centrosinistra a vincere le elezioni. Nessuno crede che quella italiana prima dell'era Berlusconi fosse la migliore scuola possibile. E nessuno pensa - come ha detto Andrea Ranieri qualche giorno fa - che abrogare la Moratti sia l'unico provvedimento da prendere. Perché non sarebbe risolutivo, perché lascerebbe irrisolti alcuni punti critici che caratterizzano la scuola italiana da molto prima che la Moratti tentasse di smantellarla. Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista da sempre chiedono l'abrogazione della legge, ma lavorano da sempre per un modello di scuola alternativo. I primi hanno addirittura presentato un disegno di legge lo scorso anno. Romano Prodi al Palaeur parlò di abrogazione della legge come priorità del centrosinistra. E credo che Prodi - non solo per la sua esperienza politica, ma soprattutto grazie alla sua formazione di docente universitario - abbia perfettamente chiare quelle che erano le criticità della scuola italiana, che la "cura Moratti" ha semplicemente reso più drammatiche. La riforma Moratti, in più, ha sovrapposto un apparato ideologico - basato su una lettura elitaria e socialmente determinata, che poi non significa altro che antitesi della scuola pubblica - su un sistema che già scricchiolava; e che perciò ha preso ad ondeggiare drammaticamente. La riforma Moratti ha spalmato dosi eccessive di ignoranza e di integralismo cattolico su una organizzazione dei contenuti delle discipline scolastiche che già erano stati abbassati negli standard, con obiettivi sempre più modesti. La riforma Moratti ha tentato di intaccare modelli organizzativi del lavoro dei docenti (l'insegnante prevalente rispetto al team di insegnanti alle elementari; la svalutazione delle compresenze tra docenti) che mortificano una condizione professionale - in tutti gli ordini di scuola - che già precedentemente aveva perso molta della propria autorevolezza: colpa della sempre maggiore precarizzazione; colpa della categoria, certamente; ma colpa anche di una classe politica che non ha saputo e voluto valorizzarla adeguatamente. Abolire la riforma Moratti sarebbe un atto dovuto, se le cose andassero bene per il centrosinistra e se il centrosinistra - come speriamo e come siamo sicuri che sia - ha a cuore le sorti del sistema dell'istruzione del Paese. Non significherebbe dimenticare l'urgenza della generalizzazione della scuola materna; l'importanza di ripensare la scuola media, a detta di molti il punto più critico del sistema italiano; tralasciare l'innalzamento (quello vero, reale) dell'obbligo scolastico, strumento di civiltà e di crescita del paese; non potenziare ulteriormente l'istruzione elementare; non intervenire sulla valorizzazione dell'istruzione tecnico professionale. Non significherebbe infine evitare di interrogarsi su quali conoscenze, competenze e capacità dovranno avere coloro che lasciano la scuola per affrontare il mondo del lavoro o intraprendere il percorso universitario. Vorrebbe dire, invece, ripartire, mettere mano a tutti questi e ad altri problemi con un progetto di scuola che archivi in via definitiva ogni tentativo di stigmatizzare attraverso il percorso scolastico le provenienze sociali; di divaricare i percorsi sulla base del diritto di nascita; di evitare di rimuovere gli ostacoli che impediscono la completa crescita culturale e morale dei futuri cittadini italiani; di non valorizzare professionalità e competenze che molti di noi mettono quotidianamente al servizio dei propri studenti e della nostra società. Per fare tutto ciò è importante credere in una riforma che non piova dall'alto, ma che ascolti attentamente, con pazienza, disponibilità e sincero spirito di collaborazione la voce del mondo della scuola. Tutti insieme: politica, sindacato, associazioni e - soprattutto - insegnanti, studenti, lavoratori della scuola.


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