Unità-Premiata l'unità del sindacato
Premiata l'unità del sindacato Bruno Ugolini Sono andati a votare in massa. E questo è il primo dato politico eccezionale. Non sono tempi felici per l'impegno elettorale. Eppure un milione...
Premiata l'unità del sindacato
Bruno Ugolini
Sono andati a votare in massa. E questo è il primo dato politico eccezionale. Non sono tempi felici per l'impegno elettorale. Eppure un milione e centomila persone sono andate a deporre le loro schede nelle urne disseminate in tutta Italia. Non hanno ascoltato le sirene dell'astensionismo.
Non erano elezioni politiche. Erano elezioni sindacali. Dovevano scegliere i propri rappresentanti. Gli interessati erano lavoratrici e lavoratori di posti di lavoro pubblici. Gente che spesso troviamo dietro gli sportelli, negli uffici. Qualche leghista può pensare che siano solo gli abitanti di quella che chiamano, con disprezzo idiota, "Roma Ladrona". E invece li troviamo anche nel più minuscolo paesello della penisola, al Nord e al Sud: nei Comuni, negli ospedali, nelle agenzie fiscali, nelle caserme dei vigili del fuoco, nelle ferrovie, nelle Asl, nelle questure, nelle sedi dell'Inps e in quelle dell'Inail, negli uffici centrali e periferici dei ministeri, nelle sedi dello Iacp, in quelle delle Prefetture e in quelle dell'Aci. Un esercito enorme che dovrebbe costituire il nerbo dello Stato, spesso negletto e malpagato, in attesa da dodici mesi del rinnovo contrattuale.
E qui viene un secondo dato politico. Il voto è andato in massa ai sindacati confederali. Cgil Cisl e Uil hanno beccato l'85 per cento delle adesioni. Un balzo in avanti complessivo, rispetto alla precedente tornata elettorale, che premia la politica unitaria, viva e combattiva, adottata in questa categoria (ma non in altre, purtroppo). Risultato, quattro su cinque votanti hanno operato una scelta confederale.
I mille sindacatini autonomi accoppiati ai Cobas registrano un arretramento generale. Non importa molto stabilire che la più premiata è la Cgil. Anche se fanno riflettere alcuni successi del sindacato di Guglielmo Epifani, come quel 78,2 per cento nel Comune d'Arcore, in casa del Cavaliere. Non è un episodio qualsiasi della storia sindacale. Perché avviene in un momento particolare. Allorché attorno al capezzale del centrodestra ministri e sottosegretari si stanno affannando per piantare il bisturi proprio nel corpo del pubblico impiego.
Non solo vogliono - dopo dodici mesi! - bloccare ancora il rinnovo del contratto. Immaginano tagli agli organici, riduzione delle risorse per le amministrazioni pubbliche. Eppure oggi l'Italia, come ha ricordato Franco Bassanini, ex ministro della Funzione pubblica nei passati governi centrosinistra, ha due milioni di dipendenti pubblici meno della Francia e un milione e mezzo meno della Gran Bretagna. Eppure dovrebbero sapere che l'efficienza dei servizi pubblici è essenziale per il rilancio stesso dell'industria privata.
Non solo: si pensa di operare questi risparmi per finanziare il fatidico taglio delle tasse, in modo da premiare i ceti più abbienti. È per tutte queste ragioni che con quel voto un milione e centomila persone hanno espresso nelle urne un po' del loro stato d'animo.
Un voto di protesta, di proposta e di voglia di combattere per impedire tali ingiustizie promosse da un governo che si rifiuta persino d'incontrare i sindacati e si riempie la bocca di "dialogo sociale". Una premessa allo sciopero generale del 30 novembre che in questi settori non a caso sarà non di quattro ma di otto ore, paralizzando tutti i servizi. E viene da pensare, infine, anche se in queste vicende è bene non operare facili equazioni, che forse quello che un tempo si supponeva fosse un bacino elettorale della destra di questo Paese, stia cambiando connotati.
È, del resto, un processo iniziato da tempo. Non a caso però si sono susseguiti in questi giorni, su questo tema, le dichiarazioni preoccupate dei dirigenti d'Alleanza Nazionale. Come quella di Francesco Storace, intento a cospargere Roma di cartelli elettorali e pronto a ricordare, giustamente del resto, che il rinnovo di un contratto -in questo caso del contratto del pubblico impiego - "è un dovere, non una facoltà". Dovrebbe ricordarlo a Fini intento a combinare inciuci e scambi con Berlusconi, proprio alle spalle del pubblico impiego. E potrebbe ricordargli anche le amare considerazione del segretario del suo sindacato di destra. Ha detto Stefano Celtica, segretario dell'Ugl, che non possono essere gli statali a pagare la riduzione dell'Irpef perché "sarebbe un'ingiustizia inaudita verso lavoratori che in questi ultimi tre anni, come ha rilevato l'Eurispes, hanno visto le proprie retribuzioni perdere oltre il 20 per cento del potere d'acquisto". Ben detto.
Rsu pubblico impiego