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Unità-Precari, il diritto di esserci

18.02.2004 Precari, il diritto di esserci di Marina Boscaino Un grande merito lo ha, il ministro Moratti: quello di essere riuscita, attraverso il suo implacabile ed incontrollabile tentativo di...

18/02/2004
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l'Unità

18.02.2004
Precari, il diritto di esserci
di Marina Boscaino

Un grande merito lo ha, il ministro Moratti: quello di essere riuscita, attraverso il suo implacabile ed incontrollabile tentativo di smantellamento della scuola pubblica, a mettere d'accordo persino coloro che lei stessa aveva condotto ad una disputa inaccettabile e controproducente.
Il 16 febbraio, presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana a Roma, l'Associazione Nazionale Comitati Insegnanti Precari (CIP) ha organizzato un interessante convegno sul tema 'Scuola tra qualità e precarietà'. Interessante non solo per i contenuti degli interventi, ma anche perché l'evento ha fatto registrare l'inizio dell'auspicato disgelo tra precari e l'Anief, Associazione Specializzati e Specializzandi delle Siss. Con un decreto del 12 febbraio 2002, il Ministero stabilì che il titolo acquisito tramite le scuole di specializzazione fosse valutato 30 punti, ai quali venivano cumulati i punti (12 per anno) derivanti dalle supplenze fatte contemporaneamente alla frequenza dei corsi; i Tar di varie regioni accolsero il principio di illegittimità rivendicato da alcuni precari, secondo i quali il cumulo di punteggio avrebbe dato adito ad una 'supervalutazione' degli insegnanti. È stata guerra per due anni: una 'guerra tra poveri', come hanno detto in molti, durante la quale il Ministero, pur di autofinanziare gli atenei, ha portato avanti un'ambigua politica di ribaltoni normativi e riconoscimenti d'eccellenza. Lunedì scorso l'intervento di una rappresentante dei 'sissini' auspicava l'inizio del dialogo e della ricompattazione, soprattutto 'in vista di una lotta unitaria contro la Riforma Moratti'. Un invito che Gianfranco Pignatelli, presidente del Cip, gli esponenti del mondo politico e sindacale intervenuti al convegno (Alba Sasso per i Ds, Piergiorgio Bergonzi per i Comunisti Italiani, Walter Mancini di Rifondazione Comunista, Enzo Carra della Margherita e Luisella De Filippi della Cgil) hanno accolto come un'importante novità. Che sottolinea ancora una volta come quella che si sta portando avanti non è una battaglia corporativa; ma un movimento molto più vasto e profondo, di idee e contenuti, che attraversa il mondo della scuola, della politica e - soprattutto - la società civile, mai come oggi attenta e critica osservatrice del processo di impoverimento dell'insostituibile patrimonio rappresentato dalla scuola pubblica. E che coinvolge anche l'Unione degli Studenti il cui rappresentante, Raffaele Aiello, ha sottolineato come i punti di convergenza con il mondo degli insegnanti - grazie alla 'cura' Moratti - siano oggi molto più numerosi che in passato. Tutti comunisti, i precari del Cip, non credo che siano, come non lo sono le migliaia di genitori che hanno sfilato in questi mesi nelle strade delle città. Rivendicano, come ha detto il presidente Pignatelli, il riordino dei criteri di reclutamento del personale su basi certe e trasparenti, l'azzeramento dei privilegi lobbystici, l'equa valutazione di titoli e servizio; il rispetto della normativa in base alla quale ciascun precario ha fatto investimenti professionali ed umani: accettando sedi disagiate, brevi spezzoni con conseguente discontinuità didattica e retributiva. Anche grazie a questi lavoratori (431.000 iscritti nella graduatoria permanente) la scuola italiana è andata avanti. Non sono tutti comunisti, i precari del Cip, come non lo sono gli iscritti dell'Anief; ma l'individuazione di un comune impegno contro la controriforma scolastica del centro-destra li farà presto additare come pericolosi estremisti. Peccato che siano proprio loro - l'anello più debole, assieme agli studenti, della catena che si sta cercando di frantumare - le prime vittime della dissennata politica di tagli selvaggi, di contrazione di posti di lavoro e di qualità dell'offerta, di sottrazione di risorse, di iniquità normative; che a suon di decreti, Finanziaria dopo Finanziaria, e attraverso una riforma che concretizza uno squallido aziendalismo che individua nell'istruzione una fonte di risparmio invece che un obiettivo di investimento, il Governo sta portando avanti.
Il segno dei tempi che stiamo vivendo è che oggi i precari non sono posti davanti al problema della mancata attribuzione di un punteggio o dell'individuazione di modalità per il conseguimento di abilitazioni; ma sentono pesantemente sulla propria testa la minaccia alla propria sopravvivenza, il pericolo concreto di essere tagliati definitivamente fuori dopo anni di lavoro e senza alcuna considerazione dell'esperienza professionale che hanno acquisita. È questo, assieme al senso di un forte impegno comune in difesa della scuola pubblica, il principale risultato emerso dal confronto di lunedì: una preoccupazione comune agli insegnanti, agli studenti, al mondo politico e sindacale che è necessario ascoltare. Le 18 ore obbligatorie anche per gli insegnanti di ruolo sminuzzano la didattica, la parcellizzano, eliminano la continuità, riducono i lavoratori della scuola a bocche automatizzate e i loro alunni ad orecchie meccaniche. E il cuore dov'è? Ai nostri cuori e ai nostri cervelli si richiede una flessibilità che equivale alla rinuncia di tutto ciò che rende il lavoro dell'insegnante bello, importante, unico. Che rende la scuola un organismo vivente, tempo e spazio e vita di persone. Gli insegnanti italiani sono precarizzati da uno Stato che non ha rispetto per i maestri dei propri figli. La precarietà come condizione esistenziale ma anche psicologica tipica del mondo della conoscenza e della formazione: è questo uno dei contributi che il Governo Berlusconi sta imponendo al sistema dell'istruzione, della ricerca, all'università.


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