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Unità-Poveri bambini, sono rimasti senza le "i"

Marzo 2005 Poveri bambini, sono rimasti senza le "i" Poco Inglese e niente Internet: nelle scuole non ci sono computer né formazione per gli insegnanti. Un convegno a Milano Susanna Ripa...

05/03/2005
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l'Unità

Marzo 2005

Poveri bambini, sono rimasti senza le "i"

Poco Inglese e niente Internet: nelle scuole non ci sono computer né formazione per gli insegnanti. Un convegno a Milano

Susanna Ripamonti

Che cosa fa un bambino di due anni davanti a un computer? Picchia sulla tastiera come fosse un pianoforte e quando ha finito di fare i suoi esperimenti prova a trasmettere le sue conoscenze a un orsacchiotto di pelouche. Insomma, trasferisce e collega esperienze che conosce. Se è più grande, ad esempio ha quattro anni, cerca di collegare cavi, di aprire sportelli, si interroga sul funzionamento e chiede: "Come si fa a partire dall'inizio?" come se si trattasse di una cassetta inserita in un videoregistratore. Ciò detto, qual è il possibile uso didattico del computer coi bambini in età prescolare, degli asili nido, delle scuole dell'infanzia e poi dei primi anni delle elementari?
È il tema affrontato ieri a Milano in un convegno organizzato da Ibm e facoltà di Scienze dell'informazione dell'università di Milano Bicocca. Un tema a dire il vero appena abbozzato, perché come dice Susanna Mantovani, preside della facoltà, "sappiamo molto di computer e crediamo di sapere molto del rapporto tra computer e bambini, ma in effetti non sappiamo nulla, non abbiamo idea di cosa significhi l'introduzione di queste tecnologie in un determinato ambiente e nella vita di tutti noi. Non sappiamo quale mediazione educativa è necessaria. La risposta non c'è, ma è una risposta che va cercata".
Il ministero della pubblica istruzione ci assicura che ormai, nelle scuole italiane, il rapporto studenti computer è di uno a dieci, che il programma ministeriale prevede che l'informatica nelle scuole si insegni a partire dalle elementari e che insomma il progetto berlusconiano delle "tre I" (internet, inglese, imprenditorialità) sta andando a gonfie vele. Ma a quanto pare dietro a questo miraggio tecnologico c'è una sconcertante assenza di strumenti, surrogata dalla consueta buona volontà di insegnanti e genitori che inventano e improvvisano cercando di sperimentare strade percorribili.
Clara Bianchi, insegnante delle elementari, ci spiega che i computer sono entrati nelle scuole milanesi ormai da vent'anni, non per interventi programmati dal ministero, ma per esperienze che stanno in piedi grazie a genitori, che regalano alla scuola un Pc usato, insegnanti che si inventano competenze senza avere nessun supporto formativo. E insomma il quadro che emerge è quello di una sperimentazione del tutto empirica, in cui si procede per prova ed errore, ma dove, come dice Paolo Ferri, docente in Bicocca di sociologia dei media "il problema è la mancanza di razionalità e di pensiero su come utilizzare queste tecnologie". Susanna Mantovani suggerisce di fermarsi a pensare, per capire, attraverso il metodo dell'osservazione etnografica, qualitativa e visuale qual è il percorso di avvicinamento e familiarizzazione dei bambini con le nuove tecnologie. Altro polo della riflessione, capire come gli adulti mediano questa esperienza e come passare dallo stadio attuale, affidato alla casualità, all'elaborazione di una filosofia dell'educazione che sorregga queste esperienze.
"Il rischio - come dice Thomas Maldonado - è che il computer venga usato come un forno a micro-onde, come un qualunque oggetto di consumo, rinunciando a un atteggiamento più vigile e meno passivo. E questo non è l'unico pericolo". Come non ricordare il cinismo di Clinton che in una visione salvifica e moralistica della tecnologia arrivò a sostenere che se offrissimo a ogni africano un computer e un accesso a Internet molti problemi dell'Africa sarebbero risolti. "Questa logica moralistica può trovare l'entusiasmo dell'industria e del mercato, ma certamente non può essere il punto di vista degli educatori".
Augusto Chioccariello del Cnr, cita esperienze fatte nelle scuole dell'infanzia di Reggio Emilia, in cui il computer è riportato alla sua funzione di banca dati, di macchina che consente la memorizzazione e la sedimentazione dell'esperienza. O è stato utilizzato per dilatare l'esperienza e per sperimentare forme diverse di comunicazione.
E Giuseppe Longo, dell'Università di Trieste parla del rapporto uomo/tecnologia e del particolare tipo di mediazione rappresentato dalla macchina. Cita un'esperienza fatta tra malati mentali catatonici, insensibili a qualunque sollecitazione, ma improvvisamente rianimati da un concerto di musica jazz dal vivo, al quale avevano assistito. Lo stesso concerto, riprodotto in filmato non produceva più nessun risultato. Dunque, il rapporto tra noi e il mondo e il rapporto tra noi e il mondo filtrato dalla tecnologia si pongono su lunghezze d'onda decisamente diverse.
Tornando al bambino, se è vero che si appropria del mondo attraverso l'interazione diretta, cosa succede se l'esperienza cognitiva passa attraverso un'interazione virtuale? L'indicazione che sembra uscire dal convegno milanese è quella di restare ben ancorati al dato dell'esperienza, di evitare eccessivi entusiasmi per i prodigi informatici. Il computer va usato per quello che è: una macchina che consente di rielaborare la conoscenza, ma che non si sostituisce ad essa.


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