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Unità: Pochi fondi alle materne «Italia ultima in Europa»

I dati presentati a Reggio Emilia, «capitale» degli istituti per l'infanzia

22/09/2006
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l'Unità

L'Ocse: ma ci sono più bambini che nei Paesi scandinavi

DAL NOSTRO INVIATO

REGGIO EMILIA — Un Paese poco attento ai bisogni dei più piccoli, soprattutto quella fascia di bimbi tra gli 0 e i 3 anni che regolarmente attende in fila per un posto libero al nido. Un Paese che investe, nelle strutture per l'infanzia (da 0 a 6 anni), un risicato 0,44% del suo Pil. Un Paese in cui il passaggio da nido a ex materna, e poi alla scuola dell'obbligo, procede spesso per salti e discontinuità.

Non sembra uscire bene, l'Italia, dal secondo rapporto Ocse sulla scuola dell'infanzia,

Starting strong II («Iniziare forti»): un volume che mette a confronto pratiche educative, ruolo dei governi, linee pedagogiche. Venti nazioni sotto esame, e in quanto a fondi investiti il nostro Paese è fanalino di coda in Europa, solo Usa, Australia e Canada fanno peggio. Anche se da noi la percentuale di bimbi tra 3 e i 6 anni che frequenta una scuola per l'infanzia sfiora il 100%; meglio di Svezia, Norvegia e Danimarca, che ai più piccoli dedicano quasi il 2% del loro Pil.

Ma è in Italia, e più precisamente a Reggio Emilia, che si sono dati appuntamento i 60 esperti provenienti dai 22 Paesi dell'Ocse, oltre che da università, fondazioni e istituzioni come Unesco e Comunità europea. Starting Strong II, il secondo capitolo di una ricerca iniziata nel 1998, è stato presentato ieri al Centro internazionale Loris Malaguzzi, dedicato al pedagogista scomparso nel '94 e simbolo di un sistema educativo — quello dei nidi e delle materne del capoluogo emiliano — da molti ritenuto il migliore del mondo (così lo definiva nel 1991

Newsweek; e da allora, migliaia di insegnanti sono arrivati fin qui per carpirne i «segreti»).

Una manifestazione organizzata dalle associazioni Treellle e Reggio Children (nata per valorizzare il «lascito» pedagogico di Malaguzzi), in cui si è parlato soprattutto di futuro. Perché se è vero che dal rapporto emergono in primo luogo le differenze, «questo lavoro — commenta Barbara Ischinger, responsabile educazione dell'Ocse — dimostra l'importanza di una buona strategia di educazione della prima infanzia, per una formazione che duri davvero "dalla culla alla vecchiaia"». E allora, ecco le proposte: il «sistema integrato di educazione, da 0 a 6 anni» di Peter Moss, dell'Istituto per l'educazione di Londra. «Maggiori investimenti pubblici, per garantire una formazione e condizioni lavorative adeguate», ammonisce Abrar Hasan, a capo della ricerca. In sostanza: più denaro, più coordinamento (magari unificando le politiche dell'infanzia sotto un unico ministero, cosa che in Italia non avviene), più partecipazione di famiglie e comunità.

Ed è qui che entra in campo l'esperienza emiliana. Che John Bennett, coautore di

Starting Strong, riassume così: «Ascolto, progettualità, documentazione». Nessun format da esportare, ma una storia da condividere. A Reggio, il Comune investe il 16% del bilancio sui bimbi tra 0 e 6 anni. Il 40% dei piccoli trova posto nei nidi, ben oltre l'obiettivo del 33% di Lisbona 2012. I servizi integrati, nido e infanzia, sono già realtà; e il conflitto tra scuole laiche e cattoliche è acqua passata, sostituito da una rete di collaborazioni che coinvolge tutta la comunità. E che al centro di tutto mette il bambino. Non stupisce, dunque, che l'Ocse abbia scelto Reggio per lanciare la sua sfida: un network internazionale sulle politiche dell'infanzia. Costo annuale, 29.000 euro. Oggi, seconda giornata del convegno, focus sull'Italia: buone pratiche, problemi, soluzioni. A chiudere i lavori, il viceministro Mariangela Bastico.


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