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Unità: Più scienza per tutti Come resuscitare il Paese di Galileo e Dulbecco

Pietro Greco e Vittorio Silvestrini in un libro affrontano il paradosso di un sistema che produce cervelli ma li fa emigrare. In un’epoca in cui la ricerca è la chiave per tutto: sviluppo, sostenibilità, democrazia.

26/08/2009
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l'Unità

LUCA LANDÒ
Dimenticate Galileo, salutate Marconi, accantonate Rubbia. Non vi basta? Allora archiviate Dulbecco, cancellate Fermi e impacchettate Natta, quello del Moplen. Benvenuti in Italia, il Paese che sforna ricercatori ma non crede nella ricerca. Non lo fa nemmeno adesso, che la ricerca è diventata l’oggetto del desiderio di qualunque Paese abbia ancora voglia di guardare al futuro. Chiedetelo alla Finlandia che nel giro di pochi anni è diventata leader tecnologico nel campo dei cellulari, a India e Brasile, passati da paesi in via di sviluppo a nuove economie galoppanti. E pensate alla Cina, oggi secondo Paese per investimenti in ricerca (175 miliardi di dollari nel 2007) alle spalle del gigante americano (353 miliardi).Il messaggio è semplice: la ricerca non è un optional ma la chiave per rimettere in moto la macchina e uscire dalla palude della crisi globale. A una condizione, che si prenda nota degli errori commessi e si cambi strada. Ed è su questo tema, gli errori commessi, che si esercitano Pietro Greco e Vittorio Silvestrini ne La risorsa infinita appena pubblicato da Editori Riuniti-University Press. La lista è lunga e inizia con i giganteschi errori ideologici, come l’illusione che lo Stato possa regolare tutto o, al contrario, che non debba governare nulla. Che siano entrambi sbagliati lo dimostrano le macerie del Muro di Berlino e quelle, recenti, di Wall Street. Nel museo degli errori non ci sono solo le grandi ideologie sociali ma anche piccole vicende individuali, come pensare che la scienza sia un’avventura per soli scienziati, anziché un bene per tutti. E qui spunta l’esempio paradossale dell’abate Mendel, che scoprì le leggi dell’ereditarietà ma le tenne rinchiuse nei cassetti della propria scrivania. Tra questi due tipi di errore, la gestione della società e la scarsa diffusione della scienza, si nasconde la soluzione per entrare in una dimensione nuova, quella che Greco e Silvestrini definiscono la gestione democratica della conoscenza. Ma che richiede due punti fermi. Il primo, riconoscere che il mondo non sta più cambiando: è già cambiato. E la grande crisi globale è lì a dimostrarlo. Se aggiungiamo che le risorse fossili su cui basiamo il nostro sviluppo sono destinate a finire (per il petrolio si è già accesa la spia rossa) è chiaro che il futuro ha i giorni contati. Non c’è bisogno di scomodare il catastrofico effetto serra per capire che è bene tentare un’altra strada. Greco e Silvestrini indicano una via ancora in costruzione: la strada della conoscenza e della condivisione del sapere, un sentiero in cui tutti, cittadini e scienziati, dovranno imparare a camminare con uguale passo. Ed ecco il secondo punto: comprendere che la scienza è un bene collettivo. E qui, forse, si trova la parte più delicata della proposta, perché richiede un cambiamento profondo, tale da coinvolgere la scuola, le aziende, i media. Scienza e società, insomma, non possono continuare a muoversi lungo strade parallele: devono iniziare a incrociarsi. Lo dimostra l’ormai famoso referendum sulla legge 40 dove milioni di cittadini sono stati chiamati ad esprimersi su una vicenda della quale sapevano ben poco. Come spiegano Greco e Silvestrini la conoscenza è un’attività sociale, collettiva. Quello che gli scienziati apprendono deve diventare un bene prezioso per tutti. Per far questo, occorre ripensare la scuola dalle fondamenta, rivedere il ruolo stesso degli studenti (attori e non semplici comparse) e magari, come dice il fisico Giorgio Parisi, spingere gli scienziati a superare quella pigrizia che li spinge a studiare molto ma comunicare poco. Significa rivedere il ruolo dei media,. E significa spingere il mondo politico a porre la scienza in cima a ogni programma. Non potrà esservi alcuno sviluppo «equo e giusto» fino a che questa risorsa infinita, la conoscenza, non apparterrà realmente a tutti. Questione di economia. E di democrazia.


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