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Unità-Perché Dio dovrebbe odiare Darwin?

Perché Dio dovrebbe odiare Darwin? di Pietro Greco L e scaramucce, ormai, sono infinite. C'è quella del 6 settembre, quando i giornali locali della Mid-America annunciano che il Kansas ...

06/10/2005
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l'Unità

Perché Dio dovrebbe odiare Darwin?

di Pietro Greco

L
e scaramucce, ormai, sono infinite. C'è quella del 6 settembre, quando i giornali locali della Mid-America annunciano che il Kansas State Board of education's, la commissione per l'educazione dello stato del Kansas, ha deciso di riaprire le procedure per sfidare Darwin nelle scuole, portando in classe le teorie alternative all'evoluzione biologica per selezione naturale. E c'è quella del 26 settembre, quando la Corte federale di Harrisburg, in Pennsylvania, su denuncia dei genitori di 11 ragazzi, ha iniziato il processo contro il comitato scolastico del distretto di Dover che gli avversari di Darwin, i creazionisti, li ha già portati a scuola. L'accusa è di violazione di uno dei principi fondanti della Costituzione americana, la separazione tra Chiesa e Stato, con conseguente separazione tra l'insegnamento della religione e l'insegnamento della scienza.
Tra le scaramucce potremmo inserire, a pieno titolo, quelle italiane. Come i lettori dell'Unità ricorderanno, all'inizio del 2004 il Ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, cassò l'insegnamento della teoria dell'evoluzione dai programmi scolastici delle scuole medie. Provocando l'indignata reazione dell'intera comunità scientifica del paese. Il Ministro nominò, allora, una commissione di indubbio prestigio, presieduta da Rita Levi Montalcini, per decidere ciò che non aveva bisogno di essere deciso: se la teoria di Darwin poteva essere insegnata. La commissione ha concluso i suoi lavori con una relazione consegnata il 23 febbraio 2005, dal contenuto scontato: l'evoluzione biologica per selezione naturale del più adatto non solo può, ma deve essere esposta ai nostri ragazzi, fin dalle elementari. Ma da allora nulla ancora sappiamo sul se e quando Darwin potrà tornare nelle scuole medie italiane. Il Ministro tace.
Nelle baruffe c'è sempre chi profitta. È dei giorni scorsi la notizia che l'università americana di Harvard ha pensato bene di farsi finanziare un progetto da un milione di dollari l'anno per studiare "le origini della vita nell'universo". Progetto che è stato interpretato dagli avversari di Darwin come l'implicito riconoscimento della inadeguatezza della sua teoria della selezione naturale.
Tutte queste scaramucce e altre ancora ci dicono, come sostiene il settimanale americano Time, che una guerra è in atto: la guerra dell'evoluzione (Time, The Evolution Wars, 15 agosto 2005). Una guerra che gli scienziati di tutto il mondo farebbero bene a prendere molto sul serio, sosteneva il direttore della rivista scientifica inglese Nature in un editoriale, Dealing with Design, del 28 aprile scorso. Sia perché la guerra sta uscendo fuori dai confini degli Stati Uniti. Sia perché in gioco non c'è più solo la verità, ma - come ha evidenziato su queste colonne il filosofo della scienza Giulio Giorello - anche il potere. La guerra scoppiata intorno a Darwin, dunque, non è solo e non è tanto un conflitto tra scienza e religione, ma è anche e soprattutto un conflitto politico per il potere.
Chi nutrisse qualche dubbio vada a rileggersi l'intervista rilasciata da Richard Viguerie a The New York Times il 4 novembre 2004, all'indomani della rielezione di George W. Bush alla presidenza degli Stati Uniti d'America. Viguerie è un collaboratore del Presidente. Che ha ben presente come gli oppositori storici di Darwin, i gruppi più estremi di protestanti evangelici fautori del "creazionismo", siano stati il "collante culturale" che ha consentito il coagulo di una maggioranza tanto vasta quanto variegata intorno al candidato repubblicano. Quell'intervista è l'annuncio di un vero programma politico. Un programma squisitamente "teocon". Dopo la vittoria su Kerry, sostiene Richard Viguerie, occorre affermare i "valori" della gente che l'ha resa possibile. In pratica la nuova Amministrazione dovrà abolire l'aborto, vietare i matrimoni gay e magari escludere gli omosessuali da ogni incarico politico. Inoltre occorrerà varare una "politica scientifica" molto chiara: dire no a ogni ricerca sulle cellule staminali embrionali ed elaborare uno nuovo statuto ontologico dell'embrione. Far prevalere sempre la "ragione religiosa" sulla "ragione scientifica". Escludere o, almeno, rompere il monopolio della teoria darwiniana nelle scuole e persino nelle università.
L'intervista è passata abbastanza inosservata in Italia.Per due motivi, probabilmente. Sia perché, all'indomani di una vittoria di estrema importanza, sembrava l'esternazione un po' su di giri di un comprimario che non rappresentava il pensiero politico del Presidente. Sia perché appariva, nei toni e nella cultura, lontana dall'Europa e dall'Italia.
Non c'è voluto davvero molto tempo per capire che quell'intervista non andava affatto sottovalutata. Bush, infatti, ha dato corpo quasi per intero al progetto. Specie nella parte di containment della "ragione scientifica" a favore della "ragione religiosa": dalla mobilitazione contro il diritto a una buona morte (vicenda Terri Schiavo) a quella contro la clonazione terapeutica. Fino alla dichiarazione, rilasciata il primo agosto scorso, in cui il Presidente degli Stati Uniti ha sostenuto che in tema di origine della vita a scuola vanno insegnate anche le teorie alternative a quella darwiniana. Dichiarazione che ha indotto il Time a proporre la sua copertina sulle "guerre dell'evoluzione". Quella di Viguerie non era dunque un'intervista un po' sopra le righe di un comprimario. Ma l'annuncio di un programma teso ad affermare, in sede politica, i "valori" dei gruppi che costituiscono il collante culturale del variegato blocco sociale che sostiene Bush. Compreso il valore primigenio: il creazionismo, in tutte le sue forme. Ma quell'intervista non andava sottovalutata neppure sul fronte internazionale. Non riguardava solo gli Stati Uniti. Riguarda noi tutti. Ce ne siamo accorti in occasione della morte di papa Wojtyla, quando l'ancora cardinale Ratzinger ha proposto ai cardinali il progetto su cui fondare il nuovo papato: lotta a ogni forma di relativismo, forti limiti allo sviluppo delle biotecnologie umane (considerate una patologia della ragione), affermazione nella vita pubblica della "ragione religiosa" sulla "ragione laica". Il progetto, riaffermato da papa Benedetto XVI ancora una volta nei giorni scorsi, ha avuto una sua concreta incarnazione nella mobilitazione dei vescovi italiani e, in particolare, del loro presidente, il cardinale Camillo Ruini, in occasione del referendum sulla Procreazione medicalmente assistita.
Proprio in questa occasione, peraltro, abbiamo avuto la prova diretta che il progetto di Ruini è un progetto politico, capace di coagulare intorno a sé persino delle maggioranze parlamentari. E qualche giorno dopo abbiamo avuto la prova che non è un progetto limitato a poche questioni di etica applicata. Il 7 luglio scorso, infatti, il cardinale Christoph Schonborn, arcivescovo di Vienna, ha rilasciato un'intervista al New York Times in cui si dimostra solidale con gli evangelici creazionisti e dichiara la "non verità" della teoria dell'evoluzione per selezione naturale del più adatto. La "verità" scientifica in merito all'origine e all'evoluzione dell'uomo va ricercata, invece, in quell'intelligent design, in quel progetto intelligente, che promana - a dire del cardinale - dall'osservazione stessa della natura.
L'esternazione del cardinale ha avuto riflessi anche in Italia, dove non solo i soliti "atei devoti", ma anche alcuni raffinati intellettuali cattolici - dal filosofo Evandro Agazzi al teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti - hanno fatto propria nella sostanza e pubblicamente rilanciato l'idea che quella di Darwin è solo una teoria. Una tra le tante. E che l'intelligent design, l'evoluzione cosmica guidata da una mano trascendente e intelligente, è un'altra teoria scientifica che, quanto meno, merita la medesima attenzione di quella proposta nel 1859 dal naturalista inglese.
Nelle medesime settimane dalla Spagna all'Italia si è venuta palesando una strategia piuttosto aggressiva delle autorità della Chiesa di Roma in merito all'aborto, ai diritti degli omosessuali, alla biologia umana. Proprio i temi suggeriti undici mesi fa da Viguerie al New York Times. L'impressione di alcuni è che si vada dispiegando, di qua e di là dell'Atlantico, un progetto culturale e politico abbastanza omogeneo che, con una certa approssimazione, potremmo definire di matrice "teocon". Ma abbastanza suggestivo da poter coinvolgere sia i sanguigni contadini del Kansas sia molti raffinati intellettuali cattolici europei. Un progetto in cui la posta in gioco, come dice Giorello, è il potere. Ma in cui la querelle sulla "verità" dell'origine e dell'evoluzione della vita gioca un ruolo decisivo, il ruolo appunto di collante culturale - uno dei pochi possibili - di un variegato blocco sociale che oggi è maggioranza negli Usa. Ma che ambisce a divenire maggioranza anche in molti paesi europei, compresa l'Italia inclusa. Dove nasce questa capacità? Certo non da un'esigenza scientifica. La teoria darwiniana è l'unica oggi in grado di spiegare i fatti noti della biologia. Mentre non c'è nessun fatto noto che consenta di far assurgere a teoria scientifica il sentimento religioso e/o filosofico dell'intelligent design.
La capacità dell'antidarwinismo militante di fungere da collante culturale di un variegato blocco sociale nasce ha ragioni diverse. Lo storico Christopher Toumey, (God's Own Scientists, Rutgers University Press, 1994) ha mostrato come esso sia nato, quasi un secolo fa, nell'America profonda e contadina per corrispondere sia al bisogno di certezze - le certezze bibliche - in un momento in cui la società era percorsa da profonde inquietudini, sia al prevalere, in ambito tecnoscientifico, di una cultura utilitaristica e, insieme, elitaria. Oggi l'antidarwinismo militante sta uscendo dalla sua condizione di minorità e assurge addirittura a collante culturale di un blocco sociale maggioritario, o che aspira a divenire maggioritario, sia perché quei valori - la certezza assoluta e insieme il rifiuto di un'interpretazione elitaria e utilitaristica della tecnoscienza - si sono diffusi in una società, quella occidentale, attraversata da nuove e profonde inquietudini, sia perché la critica al darwinismo offre una sponda non solo ai sanguigni pastori evangelici americani, ma anche ai raffinati intellettuali cattolici e alle gerarchie della Chiesa di Roma alla "ricerca di senso". L'intelligent design offre un senso - il senso che gli conferisce una mano trascendente - a una storia della vita che non ne ha perché nasce, per dirla con Jacques Monod, dal caso e dalla necessità.
Ha ragione, pertanto, il direttore di Nature. Gli scienziati e, più in generale, i laici (credenti e non) non devono sottovalutare la sfida dell'antidarwinismo. Perché è una sfida per il potere. Ma se intendono vincerla questa sfida devono agire su almeno due fronti. Da un lato fornire il loro contributo a rimuovere la cause dell'inquietudine che attraversa l'Occidente. Dall'altra rimuovere la cause che generano un'immagine della tecnoscienza insieme utilitaristica ed elitaria.


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