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Unità-Parlare di etica sui banchi di scuola

Parlare di etica sui banchi di scuola Luigi Cancrini Lettera firmata Sono un'insegnante e mi sento spesso in difficoltà, in classe, quando le ragazze (e i ragazzi) mi chiedono un parere su q...

21/11/2005
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l'Unità

Parlare di etica sui banchi di scuola

Luigi Cancrini
Lettera firmata

Sono un'insegnante e mi sento spesso in difficoltà, in classe, quando le ragazze (e i ragazzi) mi chiedono un parere su questioni che oggi vengono definite "etiche". In tema di aborto e di pillola oggi in sperimentazione, per esempio, l'aver cercato di usare il linguaggio "scientifico" dei fatti e delle leggi oggi vigenti mi ha messo nelle condizioni di essere definita una "comunista senza rispetto per la vita" da genitori probabilmente un po' primitivi ma probabilmente in buona fede. Che dobbiamo insegnare o testimoniare ai ragazzi che crescono, oggi?
L'esperienza che lei propone come insegnante è estremamente chiara. Quello con cui ci stiamo di nuovo confrontando, all'interno di quella che dovrebbe essere una società laica, basata sulla tolleranza e sullo scambio libero delle differenti opinioni, sulla libertà del culto e degli atteggiamenti politici, è un modo di nuovo estremo (io lo chiamo border line) di proporre le proprie idee. Identificando sé stessi con il bene e l'altro con il male, rinunciando alle mediazioni e alle sfumature. Ritraendosi spaventati, in fondo, dall'avventura della complessità. Rinunciando ad avere un pensiero proprio, basato sulla concretezza della propria esperienza di essere umano ed allineandosi sulle parole d'ordine di quelli che stanno diventando, a tutti gli effetti dei superiori "gerarchici".
La trappola in cui si cade cedendo a questa tentazione nel caso particolare dell'aborto è subito evidente a chi di questa cosa si occupa. Quello che si dimentica inevitabilmente quando ci si muove sul linee estreme ed opposte, infatti, è il caso particolare, la vicenda umana del singolo coinvolto in battaglie di principio che non danno soluzione ai suoi problemi di persona. Che lo condizionano così profondamente da impedirgli di riflettere seriamente sulle scelte che sta facendo. Come a me è accaduto di verificare tante e ormai troppe volte nel momento in cui la persona che sta male viene a chiedere aiuto perché troppo alto è diventato il prezzo da pagare alla sua incapacità di prendere decisioni davvero autonome. Su due fronti che possono apparire a prima vista, all'interno delle semplificazioni eccessive su cui ci si muove oggi, due fronti opposti e che opposti sono solo in apparenza, tuttavia, se fino in fondo si riflette sulla complessità del significato che dovremo riconoscere alla parola libertà e alle dichiarazioni sulla necessità di assicurare che libere siano davvero le persone nel momento in cui fanno scelte così importanti come quelle legate alla nascita di un figlio.
Comincio dall'esempio più difficile, quello legato al modo in cui i messaggi sulla libertà di abortire sono stati proposti e intesi come messaggi che riguardano solo la donna e non la coppia. "L'utero è mio ed io sono quella che decido" impiegato come slogan di tante posizioni femministe più radicali corrispondeva davvero sempre ad un'affermazione di libertà? L'impressione proposta in una situazione come quella del mio lavoro è stata spesso molto diversa. Strumento di scontro o di ricerca nel rapporto con l'altro, con l'uomo amato o odiato, la decisione di abortire o di non abortire aveva spesso un evidente significato relazionale. Il fatto che la donna è l'uomo non se ne rendessero conto, tuttavia, nel momento in cui la decisione andava comunque presa era almeno altrettanto evidente. Proponendo un dubbio serio sull'effettiva libertà della loro scelta perché la nostra libertà è limitata spesso più dall'interno che dall'esterno e perché le scelte fatte da persone che non sono sufficientemente libere dalla violenza delle loro emozioni meno consapevoli hanno ricadute pesanti su tutti. Sulla donna che alla fine le prende, sull'uomo e, quando la scelta è contro l'aborto, sul bambino. Difficile davvero per me capire, sulla base di queste esperienze, il perché di una contrarietà tanto forte in tante persone di sinistra, alla presenza obbligatoria, nel consultorio, di psicologi e psicoterapeuti capaci di costruire relazioni significative con persone che, se lo chiedono, hanno il diritto di essere aiutate a guardarsi dentro, possibilmente insieme, nel momento in cui debbono prendere decisioni che sono definitive e gravide di conseguenze. Sottovalutare la complessità necessaria di questi passaggi sostenendo che questi sarebbero modi di ostacolare le scelte delle donne a me sembra francamente sbagliato nella misura in cui non tiene conto del fatto per cui il lavoro psicologico e psicoterapeutico hanno come finalità fondamentale quella di aiutare le persone ad essere più libere. Prendendo in considerazione, accanto a quelli esterni, i condizionamenti interni della persona.
Sull'altro fronte, terribile mi è sembrato più volte il modo in cui alcuni gruppi (a volte delle vere e proprie "sette") basati sul fondamentalismo senza grandi meriti di quelli che a me sembrano sempre cattolici che non hanno letto o capito e il Vangelo di Gesù, determinano danni drammatici e a volte irreparabili a persone che si sentono obbligate ad obbedire a dei dogmi invece che alla loro capacità di ragionare. Il fatto che posizioni di questo tipo siano oggi cavalcate da uomini importanti come Ruini e da tanti leaders politici è la prova più evidente, in fondo, di quell'imbarbarimento del costume generale di cui parlavo all'inizio. Quello su cui si dovrebbe riflettere un po' di più, tuttavia, sono i casi spaventosi dei bambini che vengono al mondo senza che nessuno davvero li voglia, i "malvenus" di Martha Robert, destinati a restare simbolo e luogo di contraddizione e di conflitto fra le persone o le tribù che li hanno generati e destinati, nello stesso tempo, a rovinare la vita di chi senza volerli davvero ha deciso di doverli volere. Parlavamo nel 1978, discutendo le leggi regionali alternative delle norme sull'aborto, di procreazione responsabile. D'accordo tutti, comunisti e cattolici, destra e sinistra, sul fatto per cui quello che doveva essere evitato era lo sviluppo delle situazioni in cui le coppie sono costrette a fare questo tipo di scelte. Quelle che sono mancate da allora sono essenzialmente due cose: l'accettazione da parte della Chiesa di un discorso serio sulla possibilità di separare la sessualità e l'amore fra uomo e donna, di cui la sessualità è una componente essenziale, dalla procreazione e l'accettazione, da parte di tutti, dell'idea per cui la libertà del singolo non ha e non deve avere nulla a che vedere, mai, con le ideologie.


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