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Unità: Non è una città per bambini. Le speranze interrotte di Napoli

Per il resto del paese è difficile capire quanto Napoli in questi anni sia diventata il nuovo Manifesto vivente della nuova condizione di sudditanza e di abbandono del Mezzogiorno. A cominciare dai bambini...

22/01/2009
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l'Unità

Accade, mese dopo mese, che molti cittadini napoletani si allontanano dalla vicenda della città e della regione. Si chiudono in sé. O vanno via. Forse è un istinto di difesa. Forse una radicale stanchezza. O la sete, ormai quasi disperata, di parole di verità che, per quanto dure, si possano finalmente udire dalla politica. Come prima condizione per ricominciare. Cosa che non avviene.

Per il resto del Paese è difficile capire quanto Napoli e la Campania in questi anni siano diventati ancor più di prima luoghi di esclusione sociale paurosa, il manifesto vivente della nuova condizione di sudditanza e di abbandono del Mezzogiorno, senza buone politiche pubbliche né sviluppo delle imprese, ben prima della recessione.

Il Pil per abitante, in Campania, è di 16.547 euro, contro i 30.380 del Nord, il valore peggiore d’Italia. La si deve immaginare una simile differenza. Nelle famiglie, nella vita quotidiana. Il tasso di occupazione maschile è al 43,7 percento, quello femminile è uno scandalo feroce: 27,9 percento, uno dei valori più bassi d’Europa. I cittadini che vivono sotto la soglia di povertà in Campania sono 1.340.000, un quarto della popolazione. In tutte le regioni del Nord sono 1.380.000, tra il 4 e il 6 percento. La spesa pro capite per interventi sociali è di 55 euro. Contro i 123 del Nord e i 102 del Centro. Il 29 percento dei ragazzini non finiscono le scuole superiori né la formazione professionale, 9 punti percentuali sopra la già alta media nazionale. Ma arrivano al 34 percento a Napoli città.

E sono già partiti dalla Campania 600.000 persone, con un tasso migratorio che è del 5 per mille da vari anni. Le scene alla stazione di Napoli centrale somigliano a quelle di cinquanta anni fa.

RIGUARDA LA VITA

Non si tratta di piangersi addosso. È, però, una condizione che si respira, che divide la parte protetta dalla parte esclusa delle città, che favorisce la camorra. Riguarda la vita concreta. Riguarda le atmosfere quotidiane. Riguarda la libertà effettiva di poter discernere e partecipare alle cose comuni. Riguarda sicurezza, salute, lavoro, impresa, diritti fondamentali. È qualcosa di pesante, un senso di mancata possibilità. Che si aggrava ora con la monnezza ora con lo scandalo. Cose che mettono la vergogna addosso.

E che per ognuno si nutre di vicende, di speranze interrotte. Che ogni tanto vanno pur narrate.

Quindici anni fa sono ritornato a Napoli perché Antonio Bassolino voleva fare «la città dei bambini»… Nicola, un ragazzino del mio quartiere, aveva allora nove anni. A 14 anni lo ho aiutato a prendere la terza media. Ci vedevamo ogni giorno. Mi occupo da anni di chi non riesce ad andare a scuola. Era un ragazzino timido e anche, forse, un po’ depresso. Con un papà dedito alle illegalità, una sorella più piccola dal carattere forte e una mamma che teneva botta come e più di quanto si possa immaginare. Tante volte mi chiedo: cosa farei io se stessi in quelle condizioni? Nicola era un ragazzo buono, ritirato, mansueto. Durante i botti di Capodanno la mamma gli ha gridato di uscire a prendere il fratello e tirarlo dentro perché si spara con le mitragliette e le pistole per aria. A Capodanno nel mio quartiere… Nicola è uscito e ha ricevuto un proiettile alla fronte che lo ha ucciso. La mamma qualche mese fa mi aveva fermato per strada e mi aveva chiesto «che facciamo noi per questi ragazzi?». Che facciamo noi - aveva detto. Non «voi». Noi. Era adirata e sofferente ad un tempo.

Prima che Nicola fosse portato al cimitero, un corteo spontaneo di qualche centinaia di ragazzi che avevano sette, otto e nove anni al tempo dei proclami sulla «città dei bambini» è andato verso il municipio di Napoli, gridando solo la parola «giustizia». Avevano le lacrime agli occhi. Ne ho riconosciuto tanti. Alcuni sono venuti dal Nord, dove oggi lavorano a contratti da fame ma legali e lontano dai pericoli di qui. Per salutare Nicola. Che era voluto bene anche se era tifoso della Juve. Nessun sindaco o assessore, vecchio o nuovo, ci è andato a parlare. Nessun sindaco o assessore era andato a casa di Nicola per stare tre minuti a fianco alla mamma. In chiesa c’era qualche consigliere di municipalità.

So che tutte le colpe non sono dei politici del centro-sinistra locale, che, però, governano da 15 anni e stanno per lo più rinchiusi in una nicchia tutta loro. So anche che la città ha avuto e ha tante buone esperienze e che conserva risorse e potenzialità. Ma in tanti sentiamo che quel che di buono c’è non trova da tempo possibilità di sviluppo, coordinamento, sostegno. E non trova interlocuzione vera e rappresentanza nelle istituzioni locali e nei partiti. Dove prevale calcolo e cinismo mentre, intorno, tutto chiede altro. O per dirla con Obama: «…non riescono a capire che la terra è franata sotto i loro piedi - che gli argomenti politici stantii che ci logorano da tempo non valgono più».

Certo che si può ricostruire - molto faticosamente - un tessuto di fiducia nella società, un nuovo «patto», fondato su una visione partecipativa del cammino che dobbiamo affrontare per risollevarci. In molti abbiamo proposte, esperienza e metodo da mettere in campo. Ma il campo va sgombrato dalle macerie prima di poter ricostruire e riparare. E il vecchio deve essere rimosso. Ci vogliono oggi - non domani - nuovi modi, parole, azioni. E persone nuove. Nuove.

MARCO ROSSI DORIA

NAPOLI

marcorossidoria.blogspot.com


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