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Unità: «Niente atti di forza su Alitalia»

Intervista a Epifani:«Penso che a sostegno dei nostri obiettivi si debba avviare una vasta mobilitazione di massa. Nei prossimi giorni faremo una verifica con Cisl e Uil, poi decideremo».

01/09/2008
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l'Unità

Intervista a Epifani: il governo non inizi il confronto parlando di esuberi

«La cordata di imprenditori? I loro interessi sono solo edilizi e finanziari»Crisi Alitalia, con una cordata di salvataggio che - dice - non sembra essere mossa da interessi industriali. E poi inflazione, bassi salari, riforma del modello contrattuale, emergenze per affrontare le quali il governo ha fatto finora poco o nulla. Appena tornato dagli Usa dove, ospite dei sindacati americani, ha partecipato alla convention democratica per l’investitura di Barack Obama per la corsa alla Casa Bianca, il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, si trova a dover fare i conti con una situazione difficile. Ma con qualche speranza in più.Epifani, qual è il messaggio che porta da Denver?

«I giornali, anche in Italia, hanno dato molto risalto ai contenuti della convention democratica. Un punto, però, è rimasto in ombra: il sostegno di tutte le organizzazioni sindacali alla candidatura di Obama e il grande peso che hanno avuto i temi del lavoro in tutti gli interventi. Da quelli del candidato presidente a quelli di Ted Kennedy, di Joe Biden, di Bill e di Hillary Clinton. È il segno di uno spostamento a sinistra del Partito democratico americano ed è un segnale importante anche per l’Europa e per l’Italia».

Perché?

«Perché in quella che Obama chiama la “promessa americana” c’è il superamento della teoria reaganiana che ha dominato gli ultimi decenni, c’è la proposta di una società non più fondata sugli interessi individuali ma sulla coesione sociale. Non a caso è partito un segnale forte per una nuova politica del welfare, per una nuova legislazione del lavoro, per una politica fiscale esplicitamente redistributiva, Ed è stato sottolineato il principio “paga uguale a lavoro uguale”, che permette il superamento delle differenze di genere e si è insistito sull’importanza del contratto collettivo, un richiamo di grande attualità anche per noi».

In che modo questi orientamenti potrebbe incidere sulle scelte politiche italiane ed europee?

«Incidono come sempre incidono le grandi scelte americane. Se Obama vincerà la sfida per la Casa Bianca diventeranno decisivi e imporranno anche da noi una riflessione seria. E poi, più in generale, anche se Obama ha sottolineato che la sua non è una candidatura di razza, una sua vittoria sarebbe un segnale in fortissima controtendenza con la cultura xenofoba, razzista e discriminatoria, oggi presente in Europa, Italia compresa. Come dimostrano l’atteggiamento del governo e di diverse amministrazioni locali».

Uno stimolo anche per il nostro Partito democratico che oggi appare in difficoltà?

«Penso di sì. Una parte del gruppo dirigente, guidato dal segretario Veltroni, ha partecipato alla convention. Mi aspetto che malgrado le difficoltà, questa scelta netta del partito americano possa aiutare il dibattito interno al Pd a decollare».

Come interpreta queste difficoltà?

«Non sono una sorpresa, per me. Come ricorderà, avevo mosso diverse critiche sul modo in cui il Pd è nato. Andava seguito un percorso diverso ed inverso rispetto a quello intrapreso. Adesso bisogna correre ai ripari. Non può essere che la più grande forza di opposizione non abbia una sua fisionomia forte e un altrettanto forte radicamento sociale. Ma credo che il gruppo dirigente lo abbia chiaro».

Intanto, con la sfida elettorale americana alle porte e, in Italia, un Pd in cerca di identità, comincia un autunno carico di problemi. Cito i principali che, come si dice, si “tengono” tutti: Alitalia, inflazione, emergenza salariale, crisi dei consumi, riforma del modello contrattuale. Come li affronterà il sindacato? Cominciamo da Alitalia e dal suo carico di esuberi.

«La nostra posizione è chiara. Non siamo disposti a discutere di esuberi se non si discute di piano industriale. E piano industriale vuol dire investimenti, qualità e quantità dei collegamenti, della flotta. Significa perimetro aziendale, cioè attività da tenere e da abbandonare. Solo dopo aver convenuto su questi punti è possibile affrontare il tema organici».

A proposito dei quali il ministro Sacconi, l’altro giorno ha parlato, di circa 5mila unità. Più o meno del previsto?

«Lo ripeto: noi non vogliamo partire dagli esuberi. Passera dice che è fondamentale l’accordo con il sindacato? Bene. Ma questo significa confrontarsi con le nostre opinioni. Quello che si aprirà domani (oggi per chi legge, ndr) deve essere un confronto vero sul piano industriale, non un prendere o lasciare. Se fosse così non ci sarebbe il nostro consenso».

Intanto però un’idea sulla cordata se la sarà fatta...

«La mia opinione è che questa cordata - sulla quale Passera stava lavorando da tempo e per la quale il governo ha cambiato in corsa le regole - sia formata da imprenditori che, per una parte, hanno altri interessi (penso a quelli che operano nell’edilizia o nel campo delle concessioni pubbliche) e per l’altra puntano sul guadagno finanziario. E ciò è un problema, perché in un mercato difficile come quello del trasporto aereo, se gli azionisti non si concentrano sul cuore dell’attività, c’è il rischio di fallire nell’intento» .

Non vede nessun interesse industriale in questa cordata?

«Allo stato non è visibile. E mi chiedo quali problemi porrà, nell’immediato e in prospettiva, il vincolo temporale di cinque anni che questi imprenditori si sono posti. Perciò è importate un piano industriale all’altezza dei problemi di Alitalia. Chiediamo un impegno che sia, insieme, di risanamento e di sviluppo, non accetteremo una politica dei due tempi.

E non c’è solo l’Alitalia. L’inflazione non scende, i consumi crollano, lavoratori e pensionati perdono giorno dopo giorno potere d’acquisto. Come è stata sin qui l’azione del governo?

«Questa è la grande emergenza nazionale e su questo il governo ha fatto poco. Poco sui prezzi, poco sulle tariffe, niente sulla restituzione fiscale a lavoratori e pensionati. Questo segna oggi il maggior dissenso tra noi e il governo. Ovviamente tutto ciò rende anche più difficile il confronto sulla riforma dei contratti».

Che sembra irto di ostacoli.

«Un intervento di redistribuzione fiscale l’avrebbe sostenuto, non averlo fatto acuisce i problemi. Noi puntiamo ad un aumento dei salari attraverso tutti i livelli contrattuali, mentre non pare che Confindustria si muova in questa direzione».

I tempi? Sacconi e industriali, ma anche Cisl e Uil, fanno pressing perché si concluda tutto entro settembre.

«Anche noi abbiamo l’esigenza di non diluire i tempi, ma non accettiamo diktat. Né dal governo, né da Confindustria, né da altri sindacati. Credo che dopo la metà del mese avremo un quadro più preciso che ci consentirà di capire se sarà possibile giungere o meno ad un accordo».

Lei ha sottolineato che, mentre tutti i governi europei si stanno muovendo per fronteggiare la crisi, il nostro rimane inerte. Cosa pensa di fare per dargli la sveglia?

«Penso che a sostegno dei nostri obiettivi si debba avviare una vasta mobilitazione di massa. Nei prossimi giorni faremo una verifica con Cisl e Uil, poi decideremo».

Tra i problemi al centro dell’attenzione mediatica non c’è l’occupazione. Il ministro Sacconi magnifica l’aumento delle ore di straordinario ottenuto grazie ai suoi provvedimenti, mentre si tace il fatto che la cassa integrazione continua ad aumentare. Come mai?

«Il governo non intende rappresentare la realtà italiana per quello che è, con la sua economia in recessione, con la cassa integrazione che cresce, con le sue filiere produttive in crisi. Non solo, credo, per una questione di immagine, ma anche perché non ha una proposta. Per questo preferisce dare una lettura ideologica della situazione plaudendo all’incremento del 9% delle ore di straordinario e dimenticando che, nel complesso, il Paese perde ore di lavoro. Per via della crisi».


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