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Unità: Napolitano difende la ricerca. E la Gelmini?

Il primo settembre il Presidente della Repubblica ha inviato una lettera al ministro Gelmini per sollecitarle attenzione nei riguardi della ricerca scientifica

11/09/2008
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l'Unità

Rino Falcone*

Giulio Peruzzi**

Il primo settembre il Presidente della Repubblica ha inviato una lettera al ministro Gelmini per sollecitarle attenzione nei riguardi della ricerca scientifica. La lettera accompagnava un breve ma intenso documento elaborato nell’ambito della comunità di riferimento, risultato anche di appelli sottoscritti da migliaia di scienziati italiani (www.osservatorio-ricerca.it). Questo atto del Quirinale è conseguenza di una sensibilità mostrata da Giorgio Napolitano fin dall’insediamento alla Presidenza della Repubblica e arriva al termine di un confronto con una parte della comunità scientifica (che ha visto la salita al Quirinale lo scorso 9 luglio di una delegazione guidata da Rita Levi Montalcini) che da anni denuncia un clima di disinteresse se non d’ostilità nei confronti di un settore che traina il carro delle società moderne verso il progresso economico, sociale e civile.

Il Presidente raccoglie così le preoccupazioni e le speranze che vengono da questo mondo e le porge, con l’autorevolezza della sua posizione istituzionale, all’attenzione del mondo politico e del Governo, mostrando una determinazione del tutto coerente con una situazione allarmante testimoniata da vari fatti.

1) Le risorse umane e finanziarie investite in ricerca e università sono inadeguate rispetto al potenziale della nostra economia. Il confronto con gli altri Paesi (europei e non) è impietoso: percentuale di Pil investito, quantità di finanziamento pubblico e privato, numero di ricercatori, export di alta tecnologia, qualificazione personale nelle aziende, etc., sono tutti indicatori che ci vedono clamorosamente indietro.

I governi europei riuniti a Lisbona nel 2000 stilarono un accordo che prevedeva l’accrescimento di investimenti in ricerca e alta formazione (obiettivo: 3% di media europea nel 2010). L’Italia ha fino ad oggi marcatamente disatteso quell’accordo.

L’ultimo atto, il decreto Tremonti dello scorso giugno, prevede la riduzione di risorse (in 4 anni condurrà a circa 450 milioni di euro in meno il fondo ordinario delle università) e la riduzione del turn-over (80%) fino al 2011 anche per università e ricerca. Ossia mentre l’agenda Lisbona (e la logica di sviluppo) prevede una crescita del personale qualificato, si decide per i prossimi 3 anni (tempo enorme alle attuali velocità) di ridurlo sensibilmente: 10 vanno in pensione, 2 saranno assunti.

2) Le università italiane, anche se tra molte contraddizioni ed alcune evidenti storture e malcostumi (primo fra tutti: un reclutamento non sempre basato sul merito), hanno garantito al Paese un livello alto, qualificato e aperto di ricerca e formazione. Ebbene il decreto Tremonti prevede la possibilità della loro trasformazione in fondazioni private. Sono evidenti i rischi per l’autonomia degli atenei e dei docenti oltre che per quei settori e ambiti di ricerca che non sono appetibili sul piano economico. Si rischia di trasformare il sistema universitario nazionale in un sistema di formazione debole e con accessi differenziati in base al censo.

3) L’erogazione dei finanziamenti pubblici avviene spesso attraverso metodi diversi dalle valutazioni di merito. È necessario fare in modo che gli investimenti pubblici siano sottoposti a una procedura di verifica del merito come avviene in ambito internazionale attraverso il consolidato metodo della verifica tra pari (peer review).

4) L’Italia contribuisce con politiche e finanziamenti inadeguati allo sviluppo dello Spazio Europeo della Ricerca. I parametri di valutazione dell’attività di ricerca, i meccanismi di reclutamento e di sviluppo di carriera e le risorse economiche minime da destinare alla ricerca di base dovrebbero costantemente essere riferiti a quelli fissati nell’ambito dell’Unione Europea. Alcuni segnali recenti, in primis il blocco della roadmap nazionale per le grandi infrastrutture di ricerca, sembrano aggravare la situazione.

Giorgio Napolitano non ha avuto dubbi sulla rilevanza delle questioni citate. Ha preso carta e penna e ha richiamato le autorità di Governo alle loro responsabilità. L’importanza di questo gesto va ben oltre le conseguenze che l’atto stesso potrà immediatamente produrre. L’Italia avrà la forza di restare nel nuovo orizzonte della società della conoscenza se farà crescere e diffondere i saperi. Se aggiornerà il proprio patrimonio infrastrutturale di conoscenze, servizi e produzione, se accrescerà la qualificazione del personale lavorativo, se valorizzerà i metodi per la partecipazione attiva alla cittadinanza, se avanzerà il proprio sviluppo tecnologico, se migliorerà la qualità e la disponibilità dei servizi e così via. Ma l’ottenimento di questi risultati ha bisogno di un traino culturale che può affermarsi solo attraverso scelte politico-strategiche che sono anche il frutto di affermazioni culturali simboliche. Il gesto del Presidente va esattamente in questa direzione e ci indica una svolta cui guardiamo con rinnovata speranza.

* Istc-Cnr e

Osservatorio sulla Ricerca

** Università di Padova e Osservatorio sulla Ricerca


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