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Unità: Nanotecnologie: serve più trasparenza nel loro uso

Pietro Greco

14/04/2008
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l'Unità

In Italia, per ora, se ne parla poco. Ma le autorità municipali di Cambridge, nel Massachusetts, da circa un anno stanno valutando la possibilità di emanare un’ordinanza per regolare la produzione industriale e l’uso nella ricerca di nanoparticelle. La città è uno dei grandi centri scientifici della costa orientale degli Stati Uniti. Due anni fa, nel 2006, Berkeley, in California, è stata la prima città ad emanare un’ordinanza sulle nanotecnologie. La città è uno dei grandi centri scientifici della costa occidentale degli Stati Uniti.
Per questo David Rejeski, il direttore del Project on Emerging Nanotechnologies (PEN) che negli Stati Uniti promuove lo sviluppo delle nuove tecnologie alla «nanoscala» è preoccupato. E nei giorni scorsi ha dichiarato: «Se Cambridge promuove un’ordinanza simile a quella di Berkeley, chissà quanti altri comuni la seguiranno». Ben presto, prevede David Rejeski, potremmo ritrovarci con un patchwork di ordinanze municipali in tutti gli Stati Uniti (e in tutto il mondo, aggiungiamo noi) che si propongono di regolare la materia. È ora, sostiene ancora il direttore del PEN, che intervengano gli esperti di giurisprudenza ambientale per proporre una legge organica «to disclose nanomaterials», per rendere trasparente la produzione e l’utilizzo a ogni livello delle nanotecnologie.
La questione è piuttosto importante. Le nanoscienza - gli studi sulla materia che si organizza alla scala dei nanometri (miliardesimi di metro) - è considerata la scienza emergente, capace di dare uno sguardo nuovo alla natura in molti settori: dalla fisica e della chimica dei materiali, alla biologia e alla medicina. Le ricadute applicative attese sono enormi: sono infatti considerate il terzo vertice, insieme alle tecnologie informatiche e alle biotecnologie, del «triangolo della conoscenza».
Le nanotecnologie hanno cessato di essere una promessa e iniziano a diventare realtà. Il PEN, per esempio, ha già inventariato 600 diversi nanoprodotti in commercio, di cui almeno 100 sostengono di avere attività farmacologiche (antimicrobiche e antibatteriche).
Nei giorni scorsi al Collegio Ghislieri di Pavia, su invito di Carlo Bernasconi, una serie di esperti - tra cui Mauro Ferrari, direttore del Centro di ricerca sulla nanomedicina di Houston, uno dei più grandi al mondo, e Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano - ha fornito un quadro aggiornato sulle concrete possibilità che le nanotecnologie stanno dimostrando nel campo della diagnosi e della cura di molte malattie, a iniziare dal cancro.
Tuttavia esiste un problema di rapporti tra nanotecnologia e società. Che è di immagine, come scrive l’antropologo Chris Toumey sull’ultimo numero della rivista Nature Nanotechnology, ma non è solo di immagine. Un problema che ha diversi aspetti: come massimizzare i benefici, possibilmente per tutti e non per pochi; come minimizzare i rischi, anche attraverso lo sviluppo delle ricerche nanotossicologiche; come favorire il dialogo tra nanoscienza e società. Quest’ultimo aspetto non è affatto marginale, perché, come sostengono gli esperti del PEN: «Il futuro delle nanotecnologie sarà determinato in larga misura dalla percezione pubblica dei rischi e dei benefici».
È per questo motivo che sono state elaborate negli Stati Uniti come in Giappone e in Europa diverse strategie di comunicazione per favorire la percezione informata delle nanotecnologie. Negli Stati Uniti il PEN propone, appunto, una strategia fondata sulla completa trasparenza. Sul riconoscimento non solo dei benefici, ma anche dei rischi. Perché, come scrive l’inglese Roland Clif, del Centre for Environmental Strategy della University of Survey, in un editoriale su Nanomedicine: «Negare che vi siano rischi per la salute umana e per l’ambiente associati alla “nanomateria” potrebbe essere autodistruttivo e potrebbe limitare lo sviluppo e le applicazioni delle nanotecnologie». I rischi possono essere di diversa natura. Per esempio, l’inalazione di nanoparticelle inorganiche (polveri ultrasottili) o organiche, che possono interagire con l’organismo a diversi livelli. Vi sono i rischi associati alle nanotecnologie militari. Infine vi sono i rischi di robot autoreplicanti di cui parla Michael Crichton in Preda che appartengono, almeno per ora, la mondo della fantascienza.
Il dialogo tra nanoscienza e società deve essere fondato sul coinvolgimento del pubblico, avverte in uno specifico rapporto il Gruppo sull’etica della scienza che collabora con la Commissione europea. Non solo per aumentare l’accettabilità delle nuove tecnologie, ma per definire una strategia di sviluppo delle nanoscienze che tenga conto delle preoccupazioni e delle attese di tutti i cittadini.

ESISTONO già 600 nanoprodotti in commercio e la ricerca mostra grandi potenzialità nella diagnosi e nella cura delle malattie. Ma i rischi esistono. E alcuni si mettono al riparo con regolamenti. Come Cambridge


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