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Unità: Movimento, dichiarare subito la non violenza

«Un vecchio film già visto», scriveva ieri uno dei giornali che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi gestisce per interposta persona

23/10/2008
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l'Unità

Giovanni Maria Bellu«Un vecchio film già visto», scriveva ieri uno dei giornali che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi gestisce per interposta persona. In effetti, alcuni dei fotogrammi sono inconfondibili. Quelli degli scontri a Milano, per esempio. Poliziotti che agitano il manganello, manifestanti che inveiscono. Se fosse veramente l’inizio del «film già visto», alla fine della bobina dovrebbe esserci un bel po’ di sangue. Infatti, come molti ricorderanno, si trattava di un film dell’orrore.

Sempre ieri, uno specialista è riuscito a mettere le mani sulla sceneggiatura e ne ha dato un’anticipazione: «Prima - ha scritto Renato Farina su "Libero" - i carabinieri chiedano a chi ottura (sic) l’ingresso degli istituti superiori di sgomberare. Non obbediscono? Qualche calcio nelle parti molli sarà un prezzo giusto per ripristinare la legalità democratica».

Ma la «convocazione di Maroni» annunciata poco dopo dal presidente del Consiglio, non va vista come una conseguenza di quel suggerimento. Non c’è niente da ridere, purtroppo. La «convocazione» del ministro dell’Interno è stata accompagnata da un proclama - «Non permetteremo l’occupazione delle scuole e delle università» - che suona come l’irresponsabile e compiaciuto ciak di un sinistro remake di quell’orribile film.

Il nuovo regista non è un politico della Prima Repubblica, a volte balbettante, a volte ambiguo, ma comunque dotato di prudenza e di memoria. Il nuovo regista è un uomo che ancora non ha risposto alla domanda: «Lei è antifascista?». Anzi, in fondo, indirettamente ha risposto quando, sempre ieri, ha intimato ai giornalisti: «Dite ai vostri direttori che saremmo molto indignati se la conferenza stampa di oggi sulla scuola non avesse seguito».

Non c’è niente da ridere per molti altri motivi. Perché il regista del malaugurato remake è lo stesso presidente del Consiglio che nella precedente legislatura inaugurò il suo mandato col massacro del G8 di Genova. Perché è un tipo di regista molto speciale: può diffondere il suo film in tutte le sale e, se gli va, trasmetterlo su tutte le televisioni del paese. Quelle televisioni che, come ha scritto pochi giorni fa il «Financial Times», gli riservano «un trattamento vicino a livelli di adulazione nordcoreani».

Il nuovo regista controlla molte altre cose nel nostro paese, e tutte assieme: oltre alle televisioni e a una serie di giornali, controlla la polizia, i carabinieri, i servizi segreti, e in più ha un patrimonio personale immenso che gli consente di circondarsi di un elevato numero di collaboratori, e a volte di servi, di alta professionalità. C’è una sola cosa che non controlla, a parte i suoi nervi: circa la metà del cast. Non controlla noi.

Allora - mentre ancora risuona l’eco del sinistro ciak - rivediamo il vecchio film e guardiamo, fotogramma per fotogramma, senza indulgenze e senza pietà, quale fu la nostra parte. A cominciare da quelle discussioni interminabili e a volte surreali sulle manifestazioni che dovevano essere «pacifiche ma non pacifiste», dall’organizzazione dei servizi d’ordine. Fino al momento in cui un bel numero di quelli che erano al nostro fianco credette di poter opporre la violenza organizzata alla «violenza di Stato».

Riapriamo qualcuno degli innumerevoli libri che raccontano l’inizio del film. Scopriremo che la «strategia della tensione» aveva come principio base l’idea che per «stabilizzare» si dovesse «destabilizzare». In parole povere ma purtroppo molto attuali, «bloccare il processo democratico del paese con la paura». E una volta conclusa la lettura, trasferiamone immediatamente i contenuti e la memoria agli studenti che oggi scendono in piazza.

C’è un solo modo per restare fuori controllo. C’è un solo modo per non entrare nel cast del remake. Questo modo si chiama "non violenza". Che non è uno slogan ma una pratica sperimentata da autorevolissimi maestri. È una pratica faticosa, che richiede studio e dedizione. Richiede tempo e pazienza. Ma c’è qualcosa che si può fare subito: dichiarare il carattere non violento del movimento degli studenti, ribadirlo in tutte le occasioni. Votarlo nelle assemblee, praticarlo nei cortei. E allontanare immediatamente quelli - non ci vuole molto, all’inizio del vecchio film erano pochissimi - che vogliono a ogni costo fare le comparse.


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