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Unità: Mortenson: «Se vuoi la pace apri una scuola»

L’INTERVISTA Un tempo faceva l’alpinista e oggi è il paladino dell’istruzione nei Paesi più colpiti da guerre e miseria. «La libertà si può trovare solo nella lotta all’analfabetismo»

21/11/2006
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l'Unità

di Edoardo Semmola

«Il seme da cui nasce un futuro di pace è l’istruzione. E prima d’ogni altra cosa, l’alfabetizzazione femminile». Greg Mortenson lo spiega con una parola d’ordine: «Gettare il seme dell’istruzione. Un bambino per volta».
Lo hanno definito il Muhammad Yunus dell’educazione. E molti lo vedrebbero candidato al prossimo premio Nobel per la Pace, come quest’anno lo è stato appunto il fondatore della banca Grameen. Eppure lui, il gigante buono, l’alpinista del Minnesota dai tratti e dall’origine vikinga, ama tenere lo sguardo alla stessa altezza dei molti bambini del Pakistan, dell’Afghanistan e dell’Iran che quotidianamente tenta di salvare da un destino di analfabetismo e fondamentalismo. «Mi piace considerarmi un buon padre, e in questo senso sì, la definizione di Yunus dell’educazione mi va bene - racconta Mortenson - Non cerco fama o fortuna, cerco la libertà, e la libertà si può trovare solo nella lotta all’analfabetismo».
Con il suo libro Tre tazze di tè, edito da Nuovi Mondi Media (pp. 340, euro 19,50), da oggi in tutte le librerie italiane, Mortenson ha raccontato la storia vera della sua mirabile avventura. Alpinista esperto già all’età di 11 anni - quando scalò il Kilimangiaro - è stato salvato sulla cima del K2 da alcuni abitanti del villaggio di Korphe. Lì si è scontrato con la desolante realtà dell’infanzia, la mancanza di scuole, la miseria. E ha iniziato la sua nuova vita di «costruttore di scuole e di pace». Ad oggi, Greg Mortenson, con la sua Ong «Central Asia Institute», ha aperto 55 scuole nelle periferie dei paesi più colpiti dalle guerre e dalla miseria. E ha portato l’istruzione elementare a più di 22mila bambini. Per questo il Comune di Firenze ieri lo ha insignito del Giglio d’Oro ai promotori di pace. Oggi sarà invece a Roma: dove presenterà il libro e la sua storia alle 15 a Fahrenheit, su Radio Tre, alle 21 a Rainews24 e domattina alle 9 nella trasmissione Uno Mattina.
Tutti i bambini sono uguali. Non si può rifiutare l’istruzione a qualcuno solo perchè figlio di terroristi o di talebani. E lei, Greg Mortenson, ha portato avanti questa convinzione sfidando tante minacce di morte sia da parte dei talebani che dalla sua stessa America.
«Sì, proprio perchè facciamo scuola anche ai figli dei terroristi. Il Governo Bush per questo mi ha messo sotto inchiesta. Da dieci anni le persone vivono nella paura e la paura nasce dall’ignoranza e alimenta l’odio: talebani e americani pensano entrambi di avere Dio dalla loro parte, mentre Dio sta dalla parte dei deboli e dei rifugiati. E non esiste alcun governo al mondo che si adoperi per la pace».
Nel suo paese qualcosa sta però cambiando: le elezioni di mid-term hanno posto con forza il problema della guerra e hanno messo in crisi l’amministrazione Bush.
«Non faccio caso a cosa dicono i politici, ma a dove mettono i soldi, e le mie scuole sono supportate da tutti: conservatori e democratici, ricchi e poveri. Il mio governo l’anno scorso ha speso 94 miliardi di dollari per la guerra e solo 14 miliardi per le opere di pace e ricostruzione. Non mi interessa chi è al potere, non ho una buona opinione della politica: guardo solo alle persone che lavorano e che mettono i semi per il domani».
Le sue sono scuole «laiche» in paesi dove l’Islam e l’insegnamento coranico sono fattori imprescindibili.
«Anche nelle nostre scuole si insegna l’Islam, oltre che a leggere, scrivere e far di conto. Io stesso ho studiato l’Islam dai mullah e molte altre religioni. Ma anche voi in Italia insegnate il cattolicesimo nella scuola pubblica, giusto? Il nostro nemico non è l’Islam ma l’ignoranza».
Lei si considera un uomo di fede?
«I miei genitori erano protestanti ma la mia fede è quella della comprensione e dell’amore del prossimo. Le religioni sono fatte dagli uomini mentre Dio per me è amore incondizionato».
Qual è il passaggio che l’ha portata da alpinista a costruttore di pace?
«Nel mio lavoro c’è il 120% della mia anima da alpinista. Chi arrampica in montagna sa che deve seguire più l’istinto e i sentimenti che la ragione».
Come si combatte l’analfabetismo nel mondo con i pochi fondi di un’Organizzazione non governativa?
«Ci muoviamo a piccoli passi, piccole opere. Apriamo qualche scuola, poi andiamo dai Governi, all’Onu, dall’Unicef, e gli facciamo vedere cosa siamo riusciti a realizzare, per coinvolgerli. Sono convinto che il primo grande passo per la costruzione della pace e del dialogo sia l’educazione e la scolarizzazione infantile femminile soprattutto».


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