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Moratti il Ministro Stonato Luigi Berlinguer Una scuola senza la musica non è una scuola che si rispetti. Se si vuole educare l'intelligenza e la personalità di un alunno, di qualunque alu...

01/03/2005
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l'Unità

Moratti il Ministro Stonato

Luigi Berlinguer

Una scuola senza la musica non è una scuola che si rispetti. Se si vuole educare l'intelligenza e la personalità di un alunno, di qualunque alunno, occorre insegnare a scuola anche la musica. Un paese che voglia essere civile, oltre che economicamente competitivo, deve avere ovviamente strutture formative qualificate per preparare dei buoni musicisti professionisti, ma soprattutto deve preparare musicalmente tutti i suoi alunni. Tutti. Si tratta di cosa diversa dalle scuole per i soli professionisti musicisti; di una cosa assai importante però, essenziale, per la stessa scuola, per la sua modernità ed efficacia. Anche a voler tralasciare la bellezza della musica come espressione artistica, certo la più naturale e congenita a ogni essere umano, si rifletta sul fatto che la musica è insieme gioia di vivere e formidabile strumento educativo, formativo, istruttivoon può pertanto essere riservata
a pochi, serve a tutti.
Né si può pensare che sia sufficiente
insegnare "educazione musicale
", trasformare cioè la musica in
insegnamento libresco o nosologico,
secondo un'accezione di "cultura"
che tutto restringe alla memoria o al
ragionamento, escludendo - da essa
cultura - l'emozione e la partecipazione
personale.
Questa accezione limitativa di cultura
dobbiamo al vecchio impianto idealista
e classista della nostra scuola,
che ha sostanzialmente limitato,
quando non escluso, l'approccio sperimentale
dell'apprendimento, che
ha trasformato l'insegnamento di
scienze insopprimibilmente sperimentali
come la fisica o la chimica in
lezioni libresche e in studio solomnemonico
delle leggi della natura. O
che ha sacrificato la matematica; o
che - nel tempo della società dell'immagine
- subisce amalincuore la stessa
immagine come fruizione passiva
ma non riesce o non vuole utilizzarla
come formidabile mezzo formativo.
Naturalmente, estraniandosi così la
simpatia e la partecipazione viva degli
alunni, che sono immersi in tutt'altra
cultura. E tutto questo per l'ostinato
passatismo nostalgico della cultura
dominante nel nostro paese - cultura
politica, economica, educativa - che
approfitta dell'ascolto prestatole da
tanti media per sbarrare la strada a
ogni innovazione nella scuola.
Dicevo che parlando di musica a
scuola non intendo soltanto "l'educazionemusicale
", intendo fare musica,
cantare o suonare, per tutti. Come
avviene in altri paesi, e come non si è
voluto fare finora nel paese del bel
canto. Perché in Italia anche quel poco
di musica che si insegnava alle maestre
molti decenni fa è sparito.
Fare musica significa appunto - procedendo
ovviamente con la necessaria
gradualità - che fin dall'inizio della
scuola tutti devono imparare a cantare
o suonare, a leggere la musica, a
viverla dall'interno. Qualunque musica,
purché sia imparata seriamente.
Anche giocando, divertendosi, ma
studiando; con passione ma con serietà
(come si deve fare a scuola), modulando
l'insegnamento e l'apprendimento
a seconda dell'età dell'alunno,
della sua vocazione, del suo gusto,
ma pur sempre con serietà.
So bene che imparare così la musica -
poiché non si tratta di passare le ore
con gli auricolari, passivamente - è
faticoso, talvolta più che fare un esercizio
di matematica. Ma visto che è
molto bello, e la gioia che produce è
immensa, è un esercizio che funziona
educativamente più di qualunque altra
disciplina. E se si giunge - quando
si giungerà - a insegnarla a tutti, sarà
contemporaneamente assai agevole
educare il gusto e diffondere, costruire
cultura vera. E ne saranno influenzate
tante altre espressioni artistiche
che si coniugano necessariamente
con la musica.
In altri termini l'insegnamento ma
soprattutto l'apprendimento, oggi,
non può fare a meno dell'emozione.
Non si impara senza applicazione e
fatica. "Non fa scienza, sanza lo ritener
l'avere inteso". Ma se vogliamo
che il bene e il piacere di imparare
divengano concretamente un diritto
di tutti, alla fatica va accompagnata
l'emozione. Non era forse questo
l'impianto educativo dei tempi antichi,
fondato sulla verga e sul sale sotto
le ginocchia, o successivamente della
gimnosofistica protonovecentesca.
Ma oggi è un altro mondo, altri sono
i bisogni, altri i diritti. C'è il diritto a
imparare, ed esso non può fare a meno
dell'emozione anche come strumento
educativo.
Il nostro è il mondo della libertà
(non esportata con le armi, naturalmente).
Il principio autoritario è ben
in crisi, nella società e nella famiglia
oltre che nella politica. L'educazione
non può più prescindere dalla partecipazione
di chi deve apprendere, e
quindi anche dalle sue vocazioni, inclinazioni,
opzioni più vere (mi verrebbe
di dire la scuola dell'autonomia,
anche se so che questo termine
non piace) e cioè, dal dato emotivo.
Per non citare le moderne acquisizioni
della ricerca, degli studi sull'intelligenza
e sul ruolo fondamentale che
l'emozione svolge nel processo cognitivo.
Orbene: l'emozione più intensa,
fra le discipline "scolastiche", la dà la
musica, il fare musica ancor più che
l'ascoltarla. Una scuola giusta ed efficace
non può farne più a meno.
Per questo unisco la mia debole voce
a quella di tanti artisti che in questi
giorni hanno gridato inorriditi al danno
che la mutilazione musicale infligge
all'Italia, aggiungendo al loro amore
per l'arte (musicale) il mio amore
per la scuola, per l'education, per gli
alunni. Perché valorizzare la musica
fa bene all'arte, ma soprattutto fa bene
alla scuola.
Leggo con grande soddisfazione che
si celebra oggi un'iniziativa deiDemocratici
di sinistra per la musica nella
scuola, mobilitando persino il segretario
generale, Piero Fassino. Bellissimo.
Lo dovrebbero fare tutte le forze
progressiste, cioè, tutte le forze politiche,
anzi. Per rinfrescare la memoria
- in una stagione in cui lo sport nazionale
sembra diventare nihilisticamente
la damnatio memoriae e l'abrogazione
- voglio rammentare che 8-9
anni fa iniziammo al ministero della
Pubblica Istruzione un percorso che
fu per me, poveromaestrino di solfeggio,
una grande gioia. In quel ministero
forse un po' stonato, certo più aduso
alle circolari che ai suoni, iniziammo
a celebrare ogni anno una giornata
dell'arte studentesca, libera creatività
dei ragazzi. E contemporaneamente
un'altra giornata nazionale della
musica nella scuola, convocando nell'austero
(e sordo) atrio del palazzo
ministeriale varie formazioni corali e
strumentali studentesche, e in tantissime
scuole analoghe manifestazioni
sonore. Lanciammo inoltre l'idea -
promuovendola concretamente - di
"un coro in ogni scuola", intendendo
così iniziare a sperimentare con una
praticamusicale l'autonomia culturale
e lo spirito di appartenenza anche
artistico, previa azione formativa adeguata.
E infine, e soprattutto, istituimmo
numerosi "laboratori musicali"
in tante scuole. Un approccio sperimentale,
l'avvio di un percorso, che
doveva giungere alla istituzionalizzazione
dentro il curriculum dell'insegnamento
della musica (praticata)
per tutti. Soprattutto nella scuola di
base. Ricordo solo due nomi di chi
fra i tanti musicisti si impegnarono
allora con noi nel cammino emozionante
della musica nella scuola: il
compianto Luciano Berio e PaoloDamiani.
Si conosce il seguito di quell'esperienza.
E si vede oggi quel che avviene e
desta tanta preoccupazione nei nostri
artisti più grandi. Non posso che augurarmi
di tutto cuore che si inverta
la tendenza e si doti ogni scuola -
almeno di base - degli insegnanti necessari
perché la musica ci si apprenda
ordinariamente.


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