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Unità: Mille occhi e un videofonino: quanto è «vera» la scuola?

Le bravate immortalate da Internet e gli scandali: ma in classe il mondo è come quello che c’è fuori. Anzi, certe volte è migliore

30/01/2007
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l'Unità

di Luigi Galella

luigalel@tin.itLa scuola è un fortino assediato. Dal sentimento collettivo che non si faccia abbastanza per arginare, reprimere, controllare. E mentre di qui infuria la battaglia barbarica della modernità, della tecnologia, dei nuovi media, della democrazia dell'immagine e dell'informazione, con relativa immondizia che inevitabilmente si porta dietro, di là, a scuola, si vorrebbe che tutto si azzerasse, che il tempo si sospendesse, che si tornasse alle buone vecchie maniere di una volta.

È in atto il più ipocrita dei dibattiti. La società dei consumi e dello spettacolo da un lato fornisce strumenti e dispensa merci e dall'altro vorrebbe sottrarne l'uso. Ma non esistono vie virtuose per l'inferno della modernità: bisogna accettarlo con le sue implicazioni. O forse, e forse meglio, rivelandolo, acquisendone il controllo e la coscienza. Anche a scuola, se è il caso.

Mi fa piacere che il ministro dell’Istruzione, Fioroni, a proposito dei video «proibiti» girati a scuola, ricordi a tutti che «non servono provvedimenti mirati» perché il divieto di usare i telefonini c'è già. È il nostro ministro, ci rappresenta tutti, e lo fa con buon senso.

Come insegnante dovrei «minimizzare» e recitare la parte di Pangloss: viviamo nel migliore dei mondi possibile. E dichiarare: vi assicuro, i ragazzi di oggi sono fantastici, sono il meglio che abbiamo. Talvolta, del resto, vedendo ciò che li circonda, me ne viene voglia. Va ricordato peraltro che in Italia esistono circa settecentomila insegnanti, e che ogni giorno devono osservare, vigilare, controllare, diversi milioni di ragazzi. Numeri così alti rappresentano un sistema molto complesso: tanti occhi, tante diverse esperienze che si intrecciano. Che cosa si pretenderebbe: che tenessimo le loro «realtà» fuori dalle aule scolastiche? Come si può pensare che le periferie, che il disagio sociale, che le famiglie in crisi, che la tv dei grandi fratelli, che le piccole e grandi ambizioni di chi si vede proiettato, per il solo fatto di esserne spettatore, nel palcoscenico mediatico; che tutto ciò che costituisce la nostra e la loro realtà come d'incanto, varcata la soglia dell'aula, rimanga fuori della porta?

L'uso del videofonino come ogni nuova tecnologia modifica i rapporti sociali. La sua invenzione non è altro che l'ultima tappa di quella che McLuhan chiamava l'era elettrica. «I nuovi media - scriveva alcuni decenni fa - e le nuove tecnologie con cui amplifichiamo ed estendiamo noi stessi costituiscono una sorta di enorme operazione chirurgica collettiva eseguita sul corpo sociale con la più totale assenza di precauzioni antisettiche». In un altro saggio, incredibilmente profetico, parlava del mito di Narciso, dal greco «narcosis», e cioè torpore. Narciso che scambiò la propria immagine, che vedeva riflessa nell'acqua, per un’altra persona, di cui si innamorò. La ninfa Eco cercò di conquistarlo, senza riuscirci. «Narciso era intorpidito. Si era conformato all’estensione di se stesso, divenendo così un circuito chiuso».

Liberiamo il fortino assediato. Alla scuola non dobbiamo chiedere di fare da controcanto al circuito della realtà «chiusa» e «infetta», ma di rappresentarne, semmai, in maniera inclusiva e dialogica, il meccanismo conoscitivo che la sveli e, per quanto possibile, la domini.


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