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Unità: Ma la scienza può fidarsi ancora della politica?

Il nuovo libro di Walter Tocci ricostruisce gli ultimi anni di un rapporto difficile e deludente: dalla riforma Moratti al governo Prodi

15/09/2008
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l'Unità

LE IDEE Il nuovo libro di Walter Tocci ricostruisce gli ultimi anni di un rapporto difficile e deludente: dalla riforma Moratti al governo Prodi

di Pietro Greco

C’è uno strano punto interrogativo nel titolo, Politica della scienza?, che Walter Tocci - deputato, direttore del Centro per la Riforma dello Stato e per anni punto di riferimento politico molto apprezzato per il mondo della ricerca in Parlamento e nei DS - ha voluto dare al nuovo libro pubblicato con l’editore Ediesse.

È un punto interrogativo a quattro facce e altrettanti significati, che Tocci riconduce a unità non senza una certa capacità di spiazzamento. Il primo significato riguarda proprio i fondamenti del rapporto tra scienza e politica in un mondo che è entrato nell’era della conoscenza ed è sempre più informato, a ogni livello (economico, ecologico, etico, sociale, culturale) dalla scienza e dall’innovazione tecnologica. In un lungo saggio dedicato a Martin Heidegger, Walter Tocci individua il tessuto connettivo primario di questi rapporti: la filosofia. Tutte queste tre dimensioni della cultura dell’uomo si fondando sul concetto di legge. Certo, il rapporto oggi è squilibrato. La scienza pone all’uomo sfide sempre più profonde a ritmi crescenti e ormai incalzanti. La politica fa fatica a seguire la scienza nel suo vorticoso sviluppo ed entrambe stentano a riconoscere i valori e le aspirazioni dell’altra. Tutto ciò produce smarrimento. E la filosofia sembra addirittura celebrare la sua fine a causa, notava Heidegger, del suo completo risolversi nelle scienze. Ma si tratta di una fine apparente. L’uomo tecnologico del nostro tempo sembra non avere più bisogno della filosofia perché l’ha sussunta nella sua immagine del mondo. E la salvezza non sta nel rifiutare la nuova era della conoscenza, ma nello sviluppare un pensiero critico - una filosofia - che sia alla sua altezza.

Ci sono poi altri due significati del punto interrogativo. Possiamo intendere questa frase in due modi: nel primo la scienza svolge un ruolo attivo e pone nuove domande alla politica. Domande difficili, cui molti rispondono in maniera inadeguata. Inadeguate sono quelle forze - politiche, religiose, culturali - che vorrebbero mettere la mordacchia alla scienza e sacrificare quell’autonomia della ricerca che è uno dei capisaldi su cui, a partire dall’Europa, è stata edificata la cultura democratica negli ultimi secoli. Ma inadeguati sono anche quegli uomini di scienza che, sebbene portatori di una rivoluzione epistemica che nel XX secolo ha scoperto i temi della complessità e della non linearità, continuano ad applicare paradigmi classici alla società, col risultato di mettere in crisi, quando lavorano in laboratorio, la scienza lineare, ma di riproporre un approccio ingenuamente neopositivista quando escono dal laboratorio.

Ma politica della scienza è anche il modo di organizzare la scienza nella società. E qui Walter Tocci ricostruisce la sua peculiare esperienza di osservatore privilegiato, in quanto protagonista di due fasi durate quasi un decennio e che sono giunte a conclusione con un risultato inatteso: la delusione. La prima fase è quella del contrasto politico all’attività dei precedenti governi Berlusconi - incapaci di leggere il declino del paese come frutto di un modello di sviluppo senza ricerca - e dal tentativo, esperito da Letizia Moratti, di svuotare il concetto di autonomia della scienza e di aziendalizzare la ricerca pubblica. È stata una fase dura, ma capace di suscitare coesione e speranza nella comunità scientifica.

Poi ci sono stati gli anni del governo Prodi. Col recupero, certo, di molti dei danni provocati da Letizia Moratti ma segnati anche dall’incapacità del centrosinistra di portare la ricerca scientifica e l’educazione al centro del suo programma di rilancio del paese. Questa incapacità, a modesto avviso di chi scrive, ha accentuato il declino dell’Italia e ha determinato la fine dell’esperienza del governo dell’Ulivo. Questa incapacità, riconosce Walter Tocci, ha provocato una delusione nella comunità scientifica. Tanto giustificata, quanto pericolosa.

Eccoci, dunque, all’ultimo significato del segno interrogativo: vale la pena continuare a fare, in Italia, politica della scienza? Vale la pena che scienziati e politici si pongano il tema del futuro del paese, oltre che della sua ricerca? La risposta di Tocci è secca. Occorre andare oltre la delusione. È settembre, occorre ripartire.


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