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Unità: Ma dietro la lavagna ci finisce il diritto all’istruzione

Se questo è l’inizio per chi vive di scuola c’è da stare poco allegri per il resto che il governo ci riserva

02/08/2008
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l'Unità

Marina BoscainoIl Presidente del Consiglio è veramente un impareggiabile umorista: "Potremo tornare a sanzionare le intemperanze degli studenti più irrequieti mettendoli magari dietro la lavagna, come avveniva ai miei tempi". Eh, già: la nostalgia dei bei tempi passati. La chiosa dell’esimio statista al disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri non lascia adito a dubbi: nel paese di Romolo e Remolo, delle corna, della boutade da scanzonato "gran simpatico" a tutti i costi, l’educazione è un problema serio e sentito, che viene affrontato (e commentato) con i più raffinati strumenti della ricerca pedagogica; e soprattutto attraverso un’analisi seria e attenta delle condizioni dell’esistente. Non deve stupire che per illustrare il provvedimento siano state spese le formule più trite (e più retrive) di un repertorio tradizionalista e miope, senza preoccuparsi di individuare strategie di analisi che vadano oltre l’osservazione (e la valutazione più scontata) degli episodi di bullismo. Il vuoto cosmico di costruzione di senso rappresentato dal Gelmini-pensiero sulla scuola viene riempito dalle continue incursioni di più abili e spregiudicati "addetti ai lavori" a vario titolo, come Brunetta e Aprea, la cui costruzione di senso coincide con l’individuazione di provvedimenti che proiettano un’idea di scuola irreggimentata e selezionata secondo parametri incondivisibili e per giunta improntati al risparmio. È per questo che la voce del ministro produce suoni stentati, banali, scontati: il problema è che, nel tentativo di riempire quel vuoto di idee, passano provvedimenti superficiali, improntati ad un efficientismo demagogico e senza respiro, nonché a una datatissima visione pedagogica. Come il restyling dell’educazione civica - Cittadinanza e Costituzione - nelle scuole secondarie: al ministro evidentemente sfugge che qualunque insegnante interpreti in maniera dignitosa la propria funzione ha come obiettivo fondamentale la creazione di cittadini consapevoli; e che lo strumento per raggiungere questo obiettivo sono le discipline tutte, attraverso l’individuazione di competenze trasversali.

Sarebbe stato forse opportuno chiedersi - prima di ricorrere a facili soluzioni improntate ad inflessibili quanto inopportune "strategie educative" - che cosa fanno società, famiglie, media e la scuola stessa per proporre alternative comportamentali che si oppongano alle derive di cui i giornali sono pieni. Valutare i comportamenti prima di aver messo a punto strumenti adeguati di educazione preventiva è la solita soluzione sbrigativa di chi non ha altre frecce al proprio arco che la banalità, ad effetto e punitiva. E mentre Gelmini ci dà l’interessantissima notizia che alcune case di moda vogliono cimentarsi nella creazione del grembiule - la divisa, come l’ha chiamata il premier - si concretizzano drammaticamente le conseguenze dei tagli del decreto 112: nel giro di 3 anni circa 2mila istituzioni scolastiche potrebbero "chiudere o essere accorpate". Una vera mano santa per gli alunni dei centri con meno di 5mila abitanti, che saranno costretti a ritmi proibitivi per raggiungere le scuole più vicine. A spese di comuni e province, se questi - taglieggiati come sono stati - riusciranno a mettere a disposizione mezzi di trasporto; a spese delle famiglie in caso contrario. Con buona pace del diritto allo studio.

Se il buongiorno si vede dal mattino, ci aspetta una giornata di bufera. Il panorama è disorientante: è quello di un governo che stigmatizza i comportamenti e rende più difficile l’esercizio dell’obbligo di istruzione; che antepone la logica del risparmio a quella della qualità del sistema; che sostiene la scuola privata e destabilizza quella pubblica; che sancisce definitivamente il doppio canale, quello dell’istruzione e quello della formazione professionale, con tutto il suo carico di iniquità socio-culturale-economica. Tanto rumore per nulla, si potrebbe dire, considerando la banalità delle proposte in una situazione problematica. In realtà, come una goccia che scava la pietra, si sta - attraverso provvedimenti superficiali e frettolosi - definendo un disimpegno totale sulle grandi questioni che riguardano il sistema scolastico. È da chiedersi se questo sia un male, considerando l’idea di scuola che la destra ha: un’idea che con il progresso del Paese non ha davvero nulla a che fare. Se il compito principale della scuola deve essere quello di individuare strategie per potenziare sistematicamente tutti quegli elementi costitutivi dell’identikit di un cittadino consapevole, grembiule e 7 in condotta, contrazione e tagli non sembrano provvedimenti che vanno in quella direzione. Ma, pericolosamente, indeboliscono l’esercizio della coscienza critica e un’idea di cultura e di educazione che abbiano il respiro più ampio dell’estemporanea e demagogica cura a malattie endemiche della nostra società (e, di conseguenza, del sistema scolastico) che meriterebbero di essere affrontate con ben altri strumenti.


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