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Unità-Le università italiane sulle barricate

Le università italiane sulle barricate Pietro Greco N on era mai successo. Non era mai successo che i Senati accademici, i consigli di amministrazione e i consigli di facoltà di tutte o...

02/07/2005
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l'Unità

Le università italiane sulle barricate

Pietro Greco

N
on era mai successo. Non era mai successo che i Senati accademici, i consigli di amministrazione e i consigli di facoltà di tutte o quasi le 70 e più università e scuole superiori di tutt'Italia si riunissero simultaneamente, "spesso insieme agli studenti", per denunciare "gli effetti devastanti" di un disegno di legge già approvato alla Camera e in via di approvazione al Senato e per "ribadire che le richieste della comunità accademica italiana non vengano ulteriormente disattese".
Non era mai accaduto che un governo italiano (e, forse, un qualsivoglia governo occidentale) riuscisse a compattare contro se stesso e contro i suoi progetti politici tutto il mondo universitario: rettori, professori ordinari, ricercatori, precari, sindacalisti e studenti.
Ci sono riusciti il governo di Silvio Berlusconi e quel disegno di legge sullo stato giuridico dei docenti universitari che va sotto il nome di "riforma Moratti". Quasi tutti i Senati accademici, i consigli di amministrazione e di facoltà delle 70 e più università italiane, "spesso insieme agli studenti", si sono riuniti giovedì in simultanea, alle 11 del mattino, per esprimere "con forza il più netto dissenso" sul "proseguimento della discussione parlamentare" sulla legge Moratti e per chiedere il "suo abbandono o una sua radicale revisione".
Perchè una protesta così vasta e compatta? Perchè quel sistema su cui il paese dovrebbe far leva per uscire dal declino si schiera in maniera così radicale e unanime contro una legge che si ripropone un riordino amministrativo delle figure professionali che operano nelle università, per di più a costo zero? Beh, verrebbe da dire che la protesta di rettori, professori, sindacalisti e studenti nasce in primo luogo perchè qualla proposta dalla signora Moratti è, per l'appunto, una riforma a costo zero. Non prevede fondi nuovi e aggiuntivi per finanziare la ristrutturazione delle università: un tentativo, l'ennesimo del governo Berlusconi, di festeggiare presunte nozze con autentici fichi secchi.
Ma in realtà la protesta di rettori, professori e studenti nasce da critiche di merito ancora più gravi. Perchè il riordino a costo zero dello stato giuridico proposto, da un lato rende più lungo e precario l'inserimento dei giovani nelle università e, dall'altro, rinuncia in modo così clamoroso a ogni giudizio di merito su quell'inserimento, da apparire informato da "logiche vistosamente clientelari". Insomma, il riordino che rischia di passare definitivamente al Senato è l'esatto opposto di quella riforma equa e centrata sul merito di cui parla il ministro dell'Università e della ricerca scientifica, signora Letizia Moratti. Il giudizio non è del vostro cronista, ma della Conferenza nazionale dei rettori.
Particolarmente criticata è la figura del professore aggregato, prevista sia pure ad esaurimento dalla "legge Moratti", la cui selezione appare largamente permeabile alla logica clientelare. Infatti si chiede a giovani e non più giovani ricercatori - ma anche ad assegnisti, borsisti o anche semplicemente impiegati (?) - non solo di aumentare il "carico didattico", insomma di lavorare di più, ma di farlo gratuitamente e senza dover dimostrare i loro meriti scientifici. È chiaro che una simile figura è destinata a cadere vittima di "logiche vistosamente clientelari".
I ricercatori oggi a tempo indeterminato sono 21.000, 50.000 i precari: e il disegno di legge li vuole tutti in esaurimento. Gli "aggregati" potranno ottenere un contratto a tempo determinato di tre anni, rinnovabile una sola volta. Poi o vincono il concorso per professore associato o sono fuori. Ma i giovani precari, oggi, si troveranno davanti almeno 15.000 ricercatori in esaurimento a sbarrare loro la strada. La prospettiva è, appunto, che una cospicua parte dei giovani si ritrovi come unico sbocco quello di andare all'estero per continuare il proprio lavoro e che, per paradosso, le università si ritrovino senza personale scientificamente titolato per continuare la didattica e la ricerca.
Poichè uno dei punti critici più seri del nostro sistema universitario è l'altissima età media dei ricercatori, gli effetti di questo disegno di legge si annunciano, come sostiene la Conferenza dei rettori, davvero devastanti.Criticata è, in definitiva, la nuova e soprattutto indeterminata stagione di precariato che viene proposta ai giovani e che, a giudizio di tutti i rettori riuniti in Conferenza, è addirittura in contrasto con la Carta Europea dei diritti e dei doveri dei ricercatori. A tutto ciò si aggiunge la concreta possibilità che le università non possano garantire, all'inizio del prossimo anno accademico, l'apertura di molti corsi di studio, attualmente gestiti da ricercatori, nel caso questi si rifiutino di assumersi gratuitamente un maggior carico didattico.
A questo punto c'è una sola strada da percorrere: il ritiro del disegno di legge o una sua radicale modifica. Sulla base, essenzialmente, di tre criteri. Aumentare le risorse finanziarie a disposizione della ricerca nelle università. Aumentare le risorse umane e la qualità del lavoro negli atenei, rendendo minima la precarietà del percorso di ingresso dei giovani e certi i criteri di selezione. E, contestualmente, rendere rigidi i criteri di questa selezione, fondati davvero sul merito scientifico riconosciuto secondo standard internazionali.
La posta in gioco è davvero altissima. Non si tratta solo di tenere agganciata la qualità del nostro sistema di formazione superiore, il sistema universitario, a quella dei paesi più avanzati (e non sarebbe davvero poco). Si tratta del futuro stesso del paese. Nell'università e nei centri di ricerca risiede una delle non molte speranze che l'Italia ha di invertire il percorso di declino che sembra avere imboccato.


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