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Unità:Le iene nei call center

Persino una trasmissione satirica, in onda su Mediaset e molto amata dai giovani, «Le Iene», ha dedicato un servizio all'argomento

15/05/2006
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l'Unità

Bruno UgoliniQuesta rubrica si occupa, ormai da molti anni, di lavori atipici, molto spesso precari. All'inizio la loro esistenza era pressoché ignorata. Ora sta via via prendendo piede la percezione del fenomeno. Persino una trasmissione satirica, in onda su Mediaset e molto amata dai giovani, «Le Iene», ha dedicato un servizio all'argomento (www.iene.mediaset.it/archiviopuntate.shtml), spedendo uno di loro ad interrogare i collaboratori a progetto del call center dell'Inps-Inail di Bitritto in provincia di Bari. Una testimonianza che ha attirato l'attenzione anche di qualche partecipante alla mailing list del Nidil-Cgil (atipiciachi@mail.cgil.it). Tutto comincia con l'intervento, un po’ provocatorio, di uno che si firma «Hobbes» e che, dopo la laurea, ha lavorato cinque anni in nero, poi tre anni come Co.Co.Co. e, infine, tre anni con un contratto a tempo determinato. Un esempio di precarietà che dovrebbe farlo protestare. Non è così. Lui rimane fiducioso perché, sostiene, «prima lavoravamo in nero e non avremmo preso neanche quella miseria che ci prospettano». Inoltre «nella maggioranza dei casi entro una decina d'anni si trova un lavoro a tempo indeterminato». Come dire: meglio così che niente e basta aver pazienza e prima o poi un posto stabile arriva. Una sortita (con l'aggiunta «Non mi firmo perché non credo nella vostra buonafede democratica») che suscita reazioni. Il primo è Matteo che rivendica il diritto costituzionale ad un lavoro vero e spiega come non può essere considerato normale «vivere dieci anni senza diritti e dignità». È una realtà ottocentesca e bisogna «cominciare a credere nella possibilità di cambiarla».

La più amareggiata è, però Tatjana che paragona Hobbes a quelli che si rassegnano «a comportarsi da sudditi e ad idolatrare i presunti sovrani». A lei ricordano «l'omino di Altan con l'ombrello in quel posto». Sono idee «comprensibili» (non condivisibili), annota, «se espresse da certi piccoli imprenditori del nordest». Tatjana, però, si chiede come possano essere entrate in testa ad un laureato con alle spalle cinque anni di lavoro nero e tre anni di Co.Co.Co. E aggiunge: «Come ci si può rassegnare a farsi sfruttare, a vedersi rubati i contributi, a vedersi tolta la possibilità di programmare il proprio futuro, mentre le imprese aumentano i propri profitti anche quando piangono miseria». Eppure (aggiungiamo noi) sono tesi presenti anche tra i precari, come dimostrano i tanti voti dati alle recenti elezioni al centrodestra. Tu, caro Hobbes, insiste Tatjana, «fatichi ad arrivare a fine mese, il tuo padrone (come altro chiamarlo, se non ti garantisce nessun diritto?) si compra la jeep nuova». E ancora: «Mia madre alla mia età aveva una casa, tre figli e già 15 anni di contributi versati. Io sono qui che mi arrabatto per sapere se arrivo a fine anno».

Uno sfogo non dissimile è quello di Valentina, una grafica che ha lavorato i primi tre anni in nero, poi altri due anni come Co.Co.Co. e infine dal 2003 ha aperto la partita Iva. Scrive: «Vedo che è diventato normale lavorare per qualche anno in nero, specialmente agli inizi, e credo sia ingiusto. Che razza di cultura del lavoro è questa? Che considera normale lo sfruttamento (perché di questo si tratta). Chi lavora in nero non lo fa perché è finanziato ma perché spesso non ha scelta se vuole cominciare». Anche lei ha cambiato alcuni lavori ma è convinta che per lavorare in squadra (una tipologia fondamentale in molti mestieri come il suo) sia necessario avere il tempo di conoscere bene le persone con cui si lavora. Questo permette di crescere come persone e come professionisti. Non è così se sei costretto a cambiare continuamente. Valentina sostiene, dunque, che occorre «dare a tutti la garanzia di poter scegliere». E per tutti lei intende «sia i lavoratori che cercano un posto fisso, sia gli imprenditori che scelgono di dare priorità nella vita alla propria attività, sia i professionisti che cambiano continuamente committenti o posto di lavoro». Senza diritti, spiega «non c'è scelta e non c'è libertà, diventiamo tutti ricattabili». C'è, infine, l'intervento di Andrea. La sua sensazione è che Hobbes «abbia l'esatta percezione di quello che succede oggi nel mondo del lavoro». Ma nello stesso tempo crede che in qualche modo egli abbia rinunciato a capire ciò che può essere giusto o sbagliato.

Le Iene, insomma, hanno il merito di aver suscitato un confronto interessante non fatto solo di propaganda ideologica. E dobbiamo dire che su un altro piano è possibile leggere, attorno ai problemi del mercato del lavoro e alla legge 30, proposte ed iniziative interessanti, molto riferite alle future attività del nuovo governo. La Cgil, ad esempio, ha tratteggiato le misure concernenti la piaga del lavoro nero. La Cisl di Bonanni ora parla anche di «ombre», in quella discussa legge emanata dal governo di centrodestra e confida in un tavolo attorno al quale discutere di tutto, puntando in particolare sulla contrattazione sindacale. Mentre sul noto sito de la Voce (www.lavoce.info) Pietro Ichino stavolta parla di «riunificazione del diritto e del mercato del lavoro», da attuarsi sia pure gradualmente. Sono inoltre da segnalare sulla rivista di Pierre Carniti e Tonino Lettieri (www.eguaglianzaeliberta.it) numerosi interventi sulle stesse tematiche. E, per finire, come non ricordare le notizie sui nuovi provvedimenti adottati in Spagna dal governo Zapatero? Qualcosa si muove. Speriamo.

brunougolini@mclink.it


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