Unità: Lavoro minorile, in Italia 500mila piccoli schiavi
Rapporto choc di Ires-Cgil e Save the Children: 80mila sono stranieri. «Agire subito per dare loro progetti futuri»
di Federica Fantozzi / Roma
BAMBINI SENZA DIRITTI Sono 500mila in Italia i minori di 15 anni che lavorano. 80mila sono stranieri. Nei negozi e nei bar. In casa per aiutare la famiglia. Per strada, sconfinando nell’illegalità. Al lavoro tutto l’anno, magari in nero, faticando a scuola per la
stanchezza, privati del loro tempo dei giochi, perdendo l’opportunità di un futuro migliore di quello dei propri genitori.
È il triste quadro che emerge dal rapporto Ires-Cgil e Save the children presentato ieri a Roma. L’indagine, curata dal presidente Ires-Cgil Agostino Megale e da Anna Teselli, è stata realizzata nel 2005 e ha riguardato 2mila minori in 9 grandi città. Emerge che la categoria più a rischio è quella dei ragazzini stranieri tra 11 e 14 anni con un solo genitore e più fratelli, residenti in territori ad alto tasso di disoccupazione. Eventualità non rara: tra i Paesi avanzati l’Italia ha uno dei più alti tassi (il 17%) di minori in povertà. Hanno dichiarato almeno un’esperienza lavorativa il 25,5% dei migranti e il 20,9% degli italiani.
Il lavoro precoce spesso non è un fatto saltuario o residuale: i dati mostrano una frequenza settimanale, un impegno giornaliero di molte ore, una paga regolare. Si tratta dunque di un’esperienza intensa causata soprattutto dalla pressione familiare e territoriale che comporta un progressivo disimpegno dalla scuola e l’instaurarsi di relazioni tipiche del mondo del lavoro. I ragazzi vi si immergono dedicando meno impegno alle lezioni e «staccandosi» dall’universo ancora formativo in cui vivono i coetanei più fortunati. Qualche numero: il 42% degli adolescenti stranieri (e il 59% dei cinesi) lavora tutto l’anno, mentre analoga percentuale di italiani lo fa «quando capita».
Quali sono i luoghi di lavoro? La casa o l’attività familiare per il 65% (che sale al 90% per i cinesi). Il 26% degli italiani viene impiegato in negozi, 14% in bar, ristoranti e pizzerie, mentre un 12% lavora in strada.
Gli stranieri finiscono spesso inseriti in contesti meno protetti con situazioni «difficili». Uno su tre lavora come ambulante o addirittura accattone. Sei cinesi su dieci in laboratori artigianali tessile o di pelletteria esposti a materiali e macchinari pericolosi, con orari inadeguati all’età. Se poi il 20% degli italiani non viene pagato, il dato sale a un terzo per gli stranieri.
La maggioranza dei bambini lavora tra 2 e 4 ore al giorno. Ma il 20% dei cinesi e circa il 13% degli altri migranti e il 18% degli italiani supera le 7 ore: praticamente un orario da adulti. La maggioranza continua a frequentare la scuola ma con un peggioramento del rendimento e molte assenze, denunciando stanchezza e difficoltà di apprendimento.
In un’approfondimento dedicato al Lazio sui minori stranieri che vivono in comunità o case-famiglia, si evidenzia che spesso arrivano in Italia con già alle spalle esperienze lavorative. Vissute in genere prima dei 15 anni. In Africa soprattutto nell'agricolutura e nell'artigianato, poi emigrati per assecondare i genitori. Diversa l'esperienza dei minori asiatici che hanno lavorato in fabbrica nei paesi di transito e cercano qui un'autonomia personale. I piccoli che arrivano dall'Europa dell'Est vivono invece in Italia le loro prime esperienze lavorative per sostenere le famiglie di origine.
Sei le raccomandazioni, illustrate dal direttore di Save the children Valerio Neri, per dare un progetto di futuro a questi ragazzi. Garantire il monitoraggio qualitativo e quantitativo del lavoro minorile. Attuare la nuova carta degli impegni tra istituzioni e parti sociali nel 2008. Realizzare percorsi di partecipazione «trasparenti e consapevoli» ascoltando i ragazzi. Fare emergere il lavoro nero. Conciliare scuola e lavoro. Disincentivare la dispersione scolastica.
Obiettivi ambiziosi al cui raggiungimento l’Onu ha appena dato un incentivo: il 2008 sarà dedicato alla lotta contro lo sfruttamento minorile.