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Unità: La triste scuola Tremonti-Gelmini

Marina Boscaino

27/08/2008
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l'Unità

Le reazioni risentite di Tremonti e Gelmini all’editoriale di Ernesto Galli Della Loggia di qualche giorno fa - «Una scuola per l’Italia» - fotografano perfettamente la statura della nostra classe governativa e degli strumenti che essa possiede per argomentare le proprie scelte; e per controbattere ad un ragionamento divergente rispetto alle numerose voci che si sono impegnate in questi ultimi mesi a tratteggiare l’identikit della scuola italiana e ad intonanarne il requiem. Galli Della Loggia la definisce un gigante senz’anima. Perché, dopo un’incubazione di tre decenni, negli anni ‘90 nella società italiana si sono persi definitivamente il senso dell’intrinseca necessità della scuola, la sua finalità, la sua funzione, in un crollo generalizzato di autorevolezza, che scoraggia e impedisce da parte della scuola stessa qualunque tipo di legittimazione culturale di qualsiasi tema, ideale, evento.
Preso atto, con un sospiro di sollievo, che per sanare la scuola italiana non è sufficiente mettere dietro la lavagna tre bulli e licenziare dieci fannulloni, da addetta ai lavori mi limito a suggerire che questa ipotesi suggestiva può essere ribaltata: una gran parte degli insegnanti - quelli meno consapevoli, quelli più incapaci di interpretare “civicamente2 la propria professione - continuano a nutrire granitiche certezze sul perché la scuola esista e a cosa serva. Imbalsamando pratiche e contenuti in una reiterazione insensata ed inefficace; paralizzando ogni tentativo di dibattito e di riflessione sulle ragioni di un’agonia che sembra inarrestabile, determinata anche dalle cause individuate da Galli Della Loggia. Che, in particolare, sottolinea il fatto che la scuola pubblica non deve solo trasmettere nozioni, ma configurare un’idea del mondo strettamente legata alla specificità del proprio Paese, alla identità nazionale e collettiva. La crisi della scuola italiana è la crisi dell’idea d'Italia: la crisi dell’idea di ciò che è passato, di ciò che è il presente e di ciò che dovrebbe essere il futuro. Una crisi che investe i settori produttivi, gli intellettuali, l’opinione pubblica. E la politica, che dimostra un sostanziale disinteresse per la scuola e il suo destino.
Tremonti - vittima anche lui dell’incapacità di comprendere a cosa questa scuola possa servire - taglia. E risponde, insieme a Gelmini: la congiuntura economica sconsigliava di fare diversamente. E poteva finire lì. Ma il ministro dell’Economia insiste e sconfina, parafrasando pedissequamente una tirata sulla scuola italiana - sotto forma di ricetta facile - esposta durante una recente intervista alla Padania: ritornare al voto (sostituendo il giudizio) e abbassare il costo dei libri di testo. Queste le “illuminanti” formule contrapposte alle argomentazioni di Galli Della Loggia: condite di virulento antissessantottismo e soprattutto di una sconcertante valutazione in merito al fatto che, se le ideologie introdotte dal Novecento sono tutte in crisi, forse la via nuova e salvifica è un ritorno all’Ottocento. Rincalza Gelmini, che dà man forte al collega sull’antisessantottismo, nonché - fedele al Berlusconi-pensiero - sull’ideologismo di sinistra che avrebbe portato alla crisi della scuola, compreso il suo burocratismo dilagante e la sua unica funzione di ammortizzatore sociale. Gelmini sciorina la lista delle buone azioni-intenzioni dei primi mesi di governo: grembiulino, voto in condotta, ritorno al maestro unico, educazione civica. Si attribuisce, in un eccesso di foga, il rilancio dell'istruzione tecnica e professionale che, come è noto, è stata invece una realizzazione del precedente governo.
Forse rinfrancata dal riconoscimento di Galli Della Loggia, la “volenterosa Gelmini” ricorda l’ineluttabilità e la ragionevolezza dei tagli che falcidieranno la scuola pubblica entro il 2011. Rivendica una scuola in cui «si torni a leggere i Promessi Sposi», dimostrando di non conoscere nemmeno i programmi delle scuole superiori dove - almeno nei licei, ma spesso anche nei tecnici - il testo di Manzoni monopolizza il programma di italiano del secondo anno del biennio. Snocciola le parole d'ordine, sempre le stesse, che smantellino «quella costruzione ideologica fatta di vuoto pedagogismo che dal ‘68 ha infettato come un virus la scuola italiana: autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito». Insomma, tutta la trita serie di più ovvie banalità, di nostalgico passatismo, di finto interventismo, di bieca demagogia: una lettura a dir poco semplicistica del ragionamento, in un atteggiamento arroccato nella difesa di posizioni tanto più insostenibili, quanto più le motivazioni di Galli Della Loggia sono sembrate complesse e convincenti. L’editorialista individua anche alcune significative matrici, a suo modo di vedere essenziali per ridare alla scuola profondità storico-nazionale, nello scenario della liquidità e della complessità del nostro tempo: la ricostruzione del rapporto centro-periferia e Nord Sud, che connota in maniera inequivocabile l’esperienza italiana. Il «tormentato rapporto con la modernità e i suoi linguaggi», per ricostruire «un modo nuovo di stare nei tempi nuovi». La funzione della scuola nella costruzione dell’individuo, soprattutto attraverso le discipline. Ma se la riappropriazione del passato e della tradizione è centrale per la capacità di un Paese di ri-pensarsi in maniera consapevole e di pensarsi come nazione, e se le discipline hanno una funzione essenziale in questa elaborazione (italiano e letteratura italiana - voce del passato -; matematica - linguaggio del presente e del futuro) sarà necessario soffermarsi sul cosa e sul come insegnare. Senza timori reverenziali, asfittici tradizionalismi, ossequiose concessioni a criteri di conservazione didattica e metodologica.
Quello tra docente e discente è un rapporto di forza, analogo a quello tra padre e figlio. L’autorevolezza si conquista attraverso la conoscenza dei contenuti delle discipline, ma anche attraverso la messa a punto degli strumenti che la relazione educativa offre a chi voglia esercitare quel rapporto per far crescere cittadini consapevoli, critici ed emancipati. Uno scenario complicato e sottoposto a mille variabili, che prevede un investimento forte e condiviso, prima di tutto in formazione dei docenti. Il sospetto - anche valutando le risposte - è che Tremonti e Gelmini non siano minimamente in grado di fornire soluzioni al “grido di dolore” di Galli Della Loggia


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