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Unità-La tangentopoli della ricerca sbarca a Genova

La tangentopoli della ricerca sbarca a Genova Susanna Ripamonti DALL'INVIATA GENOVA Che Genova fosse candidata a diventare la città simbolo della politica scientifica e culturale dell...

04/07/2004
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l'Unità

La tangentopoli della ricerca sbarca a Genova

Susanna Ripamonti

DALL'INVIATA GENOVA Che Genova fosse candidata a diventare la città simbolo della politica scientifica e culturale dell'era berlusconiana lo si era capito da un pezzo. Da quando ad esempio, nell'aprile di quest'anno, Lucio Luzzato, direttore dell'Ist (Istituto nazionale di ricerca sul cancro) era stato licenziato in tronco e senza giusta causa, con l'unica colpa di non essere un uomo di regime. Adesso l'Ist è di nuovo nell'occhio del ciclone per una squallidissima vicenda di imbrogli, estorsioni e ricatti che gira attorno al pluriblasonato docente di farmacologia, Gennaro Schettini, da ieri l'altro agli arresti domiciliari con l'accusa di concussione. Schettini è un autentico boss della ricerca: è vicedirettore del dipartimento di oncologia, biologia e genetica dell'Università di Genova, responsabile del laboratorio di neurologia del Centro di biotecnologie avanzate, membro del comitato etico dell'ospedale pediatrico Gaslini e presidente dell'Associazione ligure per la lotta al Parkinson.
Pizzo alla genovese Insomma è un personaggio collocato in una posizione chiave per il rastrellamento e la redistribuzione dei fondi per la ricerca, ma ha fatto un uso decisamente improprio di questo suo potere. I ricercatori dell'Ist ricevevano su sua indicazione borse di studio e finanziamenti per svolgere la loro attività, ma il professore pretendeva in cambio il "pizzo": se ad esempio incassavano 1500 euro, dovevano restituirne 1000 a Schettini che si raccomandava: "Solo pagamenti cash". È stato denunciato dal suo diretto superiore, Silvio Parodi, che non aveva nessun sospetto di questa faccenda, ma si era trovato tra le mani un'altro imbroglio: Schettini aveva chiesto il pagamento di una fattura di 9 mila euro per un lavoro di traduzione fatto da sua moglie. Aveva tentato di mascherare la parentela utilizzando il nome da nubile della consorte, ma una sua attenta segretaria se n'era accorta e il consiglio di dipartimento gli aveva ricordato che il regolamento di Ateneo proibisce committenze nei confronti di parenti, fino al quarto grado.
Mani in pasta L'indagine, avviata dal pm genovese Enrico Zucca è partita così, in punta di piedi, circa sei mesi fa. Ma in questi mesi i telefoni del professore e quelli dei suoi collaboratori sono stati sotto controllo. E così è saltato fuori che la "notula" pagata sottobanco alla moglie era quasi un peccato veniale rispetto al resto. Si è allungata la lista degli indagati, sono emerse complicità all'interno dell'ateneo, di colleghi compiacenti disposti a reggere il gioco di Schettini. Dunque, siamo solo all'inizio di una specie di tangentopoli della ricerca, dove in cambio di favori, prestigio, prospettive di carriera, girano quattrini. È indagata per truffa la moglie del professore, ma anche una delle sue figlie, professione hostess per convegni, è sotto inchiesta per prestazioni di lavoro fittizie. E ovviamente se ci sono pagamenti fatti per lavori mai svolti ci sono anche enti e responsabili di questi enti che hanno fornito queste coperture. La figlia del professore lavorava (o fingeva di lavorare) per il Gaslini.
Il vaso di Pandora Schettini ha già in parte ammesso le sue responsabilità, ma da quanto si è capito lascia intendere di non essere l'unica mela marcia della baronia della ricerca. La settimana prossima Zucca lo interrogherà e potrebbero squarciarsi molti veli se davvero deciderà di parlare. Ma l'aspetto più sconcertante della vicenda è la totale assenza di meccanismi di controllo.
Il rettore Sandro Pontremoli, intervistato nei giorni scorsi dal Secolo XlX, oltre ad esprimere incredulità, stupore e imbarazzo, fa affermazioni che destano gli stessi sentimenti di incredulità imbarazzo e stupore in chi legge. Il magnifico rettore spiega infatti che l'Ateneo non ha nessun dovere di verifica e che questa spetta "alla committenza" ovvero al ministero. In altri termini nessuno chiede conto allo Schettini di turno dell'uso che ha fatto dei miseri finanziamenti di cui dispone la ricerca.
Quale ricerca Le baronie universitarie sono per definizione insindacabili e se i baroni abusano del proprio potere tutto rientra nella logica per cui un ricercatore è una cosa nelle mani del professore. È sorprendente infatti che nessuno dei futuri scienziati concussi abbia avuto quello scatto di dignità e di moralità che avrebbe dovuto portarli a sporgere denuncia. Che esiti hanno avuto ad esempio le ricerche, se i fondi destinati al loro lavoro sono finiti in tasca al professore? E su che base il prof ha accordato i finanziamenti: per la qualità dei progetti o per la remissività dei ricercatori? Proprio da Genova qualche mese fa era partita una raccolta di firme tra docenti universitari che si rivolgevano al ministro Tremonti con questa proposta: invece di lasciarci in busta paga i soldi derivanti dalla riduzione dell'Irpef, teneteveli e destinateli alla ricerca. Proposta generosa (oltre che comprensibilmente polemica) ma che rischia di essere mal ricompensata se nessuno controlla dove vanno a finire questi quattrini.


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