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Unità: La scuola spezzata della Gelmini

Furio Colombo

26/10/2008
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l'Unità

Studenti, professori, ricercatori e rettori hanno visto giusto:

il governo sta distruggendo l’istruzione dopo aver disposto

una riforma di cartapesta. A confronto il ’68 era un lusso C’è un vortice di giudizi, opinioni, condanne e corse bipartitiche a sostegno di Mariastella Gelmini. La Gelmini è un giovane avvocato di modesta formazione culturale e di medio talento, tanto che - prudentemente - si è recata a Reggio Calabria e non a Milano per sostenere l’esame di ammissione all’avvocatura.

Ma, quando Berlusconi ha compiuto la strana scelta (una persona totalmente inesperta ed estranea al mondo della cultura a cui è stato affidato il compito immenso di guidare e riformare la scuola italiana, ovvero di un Paese che può vantarsi di molte cose ma non della sua scuola) il premier deve avere intravisto, da buon venditore, quel guizzo di teatrale genialità che fa alcuni addetti alle vendite più sfacciati e più coraggiosi di altri.

Mariastella Gelmini, stretta nella sua impeccabile divisa blu da hostess della pubblica istruzione, con finti occhiali - tipo Doris Day che, in un certo copione , diventa all’improvviso intellettuale - avanza sui tacchi e annuncia, un pezzo per volta, la sua riforma della scuola. Ci parla delle prime classi elementari, della necessità del maestro unico come del buon pilota, ci indica le uscite di sicurezza della nuova scuola, le cinture (i grembiulini) che i bambini dovranno obbligatoriamente indossare, detta le regole a bordo, dal voto in condotta alla bocciatura per una sola materia. Le sue comunicazioni sono perentorie come sono sempre le istruzioni di bordo. Uno non sale in aereo per discutere con la stewardess. Ascolta ed esegue, sperando in bene. Oppure chiede di scendere.

Ma è qui, a questo punto, che dobbiamo - come nel teatro di Brecht - fermare la scena per commentarla. Difficile dire se Mariastella Gelmini sia l’autrice del suo copione o se si sia limitata a interpretarlo. Di certo questo avvocato di medio talento destinato ad aprire studio nel terzo piano di un condominio o come numero due dell’ufficio legale di una agenzia assicurativa un po’ periferica, ha servito Berlusconi meglio dei signori professori avvocati Ghedini e Pecorella.

Infatti ha ammassato con bravura una finta e complessa riforma, utilizzando accortamente tutti i “cara signora, qui ci vuole il maestro unico”, “signora mia, l’educazione va insegnata a scuola!”, “ma di questi insegnanti che fanno una testa così ai nostri bambini con la Resistenza e la Costituzione non se ne può più”. E cementando il tutto con il luogo comune più caro: “Cara signora, certo che una volta...”. Così si torna al grembiulino. Ridicolo? Eh no, attenzione, attenzione. Mariastella Gelmini è scaltra. Sarà diventata avvocato a Reggio Calabria per non correre rischi ma è più brava dei venditori di leggi ad personam e di “Lodi” che puzzano di incostituzionalità lontano un miglio. Infatti vede arrivare, come un regalo, la mozione leghista sull’apartheid nelle scuole italiane che recita: i bambini stranieri di qua, i bambini italiani di là. Chi parla arabo impari l’italiano con chi parla l’arabo, anzi meglio se il compagno di banco è cinese. Così fra i bambini immigrati non passa una parola italiana che è una. E i bambini immigrati devono guardare agli italiani come alla razza superiore a cui forse si può accedere, forse no, perché intanto bisogna “imparare il rispetto per le tradizioni popolari sul territorio”, tipo bere ampolle di acqua del Po, come fanno tutti i padani.

La legge è odiosa, tanto che, per descriverla, il New York Times (9 ottobre) ha intitolato in prima pagina «L’Italia nella morsa del razzismo». Ma per Mariastella Gelmini piove sul bagnato. Incorpora subito la mozione “apartheid” nella sua vasta riforma che va dal grembiulino al voto in condotta. E che praticamente fa pagare ai bambini italiani delle prossime generazioni tutto il furore accumulato dai berlusconiani contro il ‘68.

Sembra molto, ma non è niente rispetto al talento della Gelmini. Un’altra, che non fosse l’inesperto ma scaltro avvocato, sarebbe andato in onda confessando: faremo del nostro meglio. Ma il governo Berlusconi ha tagliato otto miliardi (otto miliardi) di euro alla scuola. Ho fatto i conti: devo lasciare sul lastrico centomila insegnanti. Ho rivisto i dati: i precari resteranno precari. Ho calcolato: mai più concorsi. Ho dovuto arrendermi: niente ricerca. Ah, ma non l’avvocato Gelmini, a confronto con la quale l’avvocato Ghedini, principe del foro di Milano, è uno alle prime armi. Lei ti inventa una riforma in cui cascano, faccia in avanti, Luigi Berlinguer e il maestro D’Orta. Impazza nel Paese il furore del maestro unico. Pedagogisti e psicologi si interrogano sul voto in condotta. Lo studio di Porta a Porta si arroventa sulla fine - era ora - del tempo pieno.

Diciamo la verità. I soli a vederci chiaro e a ribellarsi subito sono stati bambine e bambini, ragazze e ragazzi di tutte le scuole d’Italia. Marciano, occupano, dibattono, mostrano i loro striscioni le maestre coi bambini, i rettori e i presidi con gli studenti, i docenti che fanno lezioni in strada. Berlusconi ha interpretato bene il sentimento dei suoi leghisti, dei suoi post fascisti, dei nuovi praticanti della “cultura del fare”, quando ha proclamato che gli studenti in strada sono come la spazzatura a Napoli, e la soluzione è la stessa: militarizzare il territorio occupato. Quanto agli scolari, maestre, professori, studenti, ricercatori, rettori, anche loro hanno visto giusto: Berlusconi e Gelmini gli stanno distruggendo la scuola, dopo aver disposto, davanti, per fare colpo e distrazione, una riforma di cartapesta.

Noi da che parte stiamo? Sarà per colpa dell’antiberlusconismo viscerale che alcuni non ci perdonano, ma la risposta è: noi stiamo con gli studenti. A confronto, il ‘68 era un lusso.


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