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Unità-La scuola non va a scuola e in duecentomila dicono no alla controriforma Moratti

15.11.2004 La scuola non va a scuola e in duecentomila dicono no alla controriforma Moratti di Matteo Tacconi Il mondo della scuola si ritrova il 15 novembre per le vie di Roma. È il terzo scio...

15/11/2004
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l'Unità

15.11.2004
La scuola non va a scuola e in duecentomila dicono no alla controriforma Moratti
di Matteo Tacconi

Il mondo della scuola si ritrova il 15 novembre per le vie di Roma. È il terzo sciopero generale da quando Letizia Moratti è ministro dell'Istruzione. La nota negativa è la pioggia, che accompagna la manifestazione durante tutto il suo tragitto, da piazza Bocca della Verità a piazza Navona. "Nonostante il maltempo tutta l'Italia si è ritrovata qui in piazza", sottolinea Enrico Panini, segretario generale Cgil Scuola. Ed è proprio quel "tutta l'Italia" il dato positivo della manifestazione nazionale del 15 novembre. Sì, perché la partecipazione alla manifestazione è diffusa ed eterogenea. Si registra un'ampia convergenza tra sindacati, insegnanti, genitori, tra istituzioni e società civile. Unire gli sforzi per fermare la legge 30, meglio nota come riforma Moratti, è la parola d'ordine, perché come molti sottolineano la scuola è "un bene del Paese", appartiene a tutti.

A Roma si sono ritrovati sindacati e insegnanti, genitori e studenti. Ognuno con i suoi motivi e con i propri ideali, ognuno deciso a contrastare la brutta piega che sta prendendo la scuola.

I sindacati si impegnano a tutelare i contratti dei dipendenti. Enrico Panini ricorda come il contratto del personale scolastico sia "fermo da 11 mesi e quello dei dirigenti da ben 36 mesi".

Gli insegnanti si soffermano sui problemi della scuola: il tutor rispolvera un modello scolastico antiquato e gerarchico. La scuola delle tre I non decolla e c'è chi, come Silvana Allesti, insegnante di lingua inglese a Milano, ritiene che più che di informatica, inglese, impresa, si dovrebbe parlare di "informatica, inglese e imbroglio". Ci racconta la sua esperienza. Dopo l'approvazione della legge Moratti le sue ore di insegnamento sono diventate sei al mese, contro le otto di francese. C'è forse in atto una svolta francofona? I laboratori non esistono. Ma si sa, le risorse per la scuola sono assorbite dal tutor, fulcro del modello d'istruzione ideato dalla Moratti. E per finanziare questa figura professionale si cede alla solita tentazione: raschiare il fondo del barile. Enrico Panini dichiara che "questa finanziaria è una dichiarazione di guerra". Francesco Scrima, segretario Cisl Scuola, critica l'ipotesi portata avanti da Siniscalco, ipotesi che taglia di un ulteriore 2 per cento i finanziamenti alla scuola pubblica. "È macelleria sociale".

Sono dello stesso avviso i precari accorsi alla manifestazione. "Potremmo essere di più", sottolinea Francesco Casale, di Vicenza, esponente del Cip (Comitati italiani precari), che aggiunge: "Non rimane che mobilitarci, è l'unica strada percorribile, non serve attendere una chiamata, la lista delle graduatorie è interminabile". Il popolo dei precari esiste da sempre, ma la politica di questo governo ha decisamente peggiorato la situazione. Francesco fa presente il progetto di legge sul nuovo Statuto degli insegnanti, che ridefinisce da cima a fondo le regole del reclutamento e rende ancora più omplicato l'accesso alla carriere. Gli chiediamo, riferendoci alle polemiche di un po' di tempo fa, se i precari si sentano in competizione con i 'sissini'. "No, siamo tutti sulla stessa barca", afferma Francesco. I Precari in Rete di Bari sembrano averlo capito: hanno abolito qualsiasi distinzione, qualsiasi sigla, creando una sorta di comune dei precari. Chi non ha lavoro e chi non ha fututo "è precario in quanto tale", sostiene Giacomo, che propone l'attivazione di corsi di abilitazione "su base territoriale, perché ogni regione, ogni territorio ha un proprio fabbisogno".

Da questo punto di vista anche la devolution va contro gli interessi della scuola pubblica. Due insegnanti di Sgurgola, in provincia di Frosinone, sottolineano gli effetti negativi della devolution sulla scuola: "Le Regioni più ricche assicureranno servizi migliori, quelle povere si arrangeranno".

Nel corteo scorgiamo Paolo Beni, presidente dell'Arci. Ci avviciniamo. "L'Arci - spiega Paolo Beni - è qui per difendere i lavoratori e per tutelare la scuola pubblica, che è il fondamento della vita democratica del Paese e che non va assolutamente indebolita".

Intanto continua a piovere. Ma la giornata uggiosa non si riflette sull'umore del popolo della scuola. C'è allegria; alcuni studenti siciliani percuotono un tamburello e intonano dei cori contro il ministro, un gruppo di insegnanti torinesi, accompagnate dalle note di una chitarra acustica, danno vita a un simpatico remake di Tristezza: "Letizia, per favore vai via, tu nella scuola mia, non ci entrerai mai...".

Ci sono pure gli insegnanti di musica, ognuno con il proprio strumento, ognuno con i suoi problemi. Francesco, uno di loro, ci spiega come l'insegnamento della musica nelle scuole medie sia "opzionale e nonostante molti genitori lo scelgano, il ministero, non avendo fondi, non lo attiva. E questo per noi vuol dire meno lavoro". Dopo averci fatto presente la situazione degli insegnanti di musica, Francesco si riaggrega ai suoi colleghi, che per l'occasione hanno messo in piedi un'orchestrina, che nonostante la pioggia fa tutto sommato colore. All'altezza del ministero della Funzione Pubblica, in corso Vittorio Emanuele, la banda si stacca dal corteo e intona una marcia funebre di Chopin. Un tocco di ironia per descrivere una situazione insostenibile. E siccome l'ironia fa sempre effetto, ecco che, in piazza Navona, spuntano fuori, proprio sotto il palco degli oratori, due bare, con su scritto "scuola pubblica".


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