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Unità-La scuola non è un problema scolastico

La scuola non è un problema scolastico MARINA BOSCAINO Sarebbe un po' come dire "Non mi interesso della sanità pubblica perché non sono malata; non mi interesso della giustizia perché so...

23/02/2005
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l'Unità

La scuola non è un problema scolastico

MARINA BOSCAINO

Sarebbe un po' come dire "Non mi interesso della sanità pubblica perché non sono malata; non mi interesso della giustizia perché sono incensurata e non ho mai avuto a che fare con un tribunale". L'insostenibilità di una mancata presa di posizione forte, coerente, sentita rispetto alle tristi vicende della scuola pubblica italiana oggi si commenta da sola. Una scuola pubblica che il Governo non sta semplicemente sottoponendo a durissimi attacchi dal punto di vista economico, destinandole briciole e lasciando presagire un chiaro processo di smantellamento progressivo; ma che viene minata alla sue radici come progetto educativo e di progresso civile e culturale del Paese. Come risorsa comune, garanzia di convivenza democratica, motore dello sviluppo. Un progetto elaborato in decenni di ricerca e di esperienze (un progetto culturale e politico nel senso più nobile e ampio dei termini) che le incursioni dilettantesche e approssimative dei responsabili dell'Istruzione rischiano di sbriciolare con noncuranza, sommarietà, ignoranza. E non regge nemmeno la giustificazione che la scuola è degli insegnanti, degli "addetti ai lavori" e che ci vogliono competenze specifiche per poter esprimere opinioni in merito. Tutti esprimono opinioni sulla scuola: non solo generiche, ma addirittura relative a metodologie didattiche, piani di studio, preparazione dei docenti. Quale sia il senso dello studio delle lingue classiche nel 2000; quanto la scuola favorisca il piacere della lettura; quanta responsabilità abbia sugli atteggiamenti di bambini e adolescenti oggi; cosa può (o deve) fare la scuola per prevenire comportamenti sbagliati. Sulla voglia di diventare veline e calciatori deve intervenire la scuola, sull'insidia degli stupefacenti ha un ruolo fondamentale la scuola, persino su Erika e Omar è stata tirata in ballo la scuola. Nessuno di noi intende sottrarsi alle proprie responsabilità. Ma proprio perché in altri momenti e in altri ambiti la scuola si trova al centro di dibattiti ed interventi, colpisce il silenzio che gran parte del mondo della cultura sta riservando alle sorti della scuola pubblica. E proprio agli intellettuali italiani il Cidi (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti) rivolge un accorato appello, i cui primi firmatari sono stati Carlo Bernardini, Gilberto Corbellini, Tullio De Mauro, Giulio Girello, Umberto Guidoni, Margherita Hack, Dacia Maraini, Paolo Sylos Labini. L'appello, che si trova sul sito del Cidi, fa riferimento in modo specifico all'assenza di pluralismo culturale, alla pochezza e alla superficialità con cui sono state improvvisate dal Governo le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati, documento transitorio quanto si vuole, ma imposto da quest'anno alla scuola dell'obbligo e prescritto all'editoria. Il "cosa si deve studiare e il come lo si deve spiegare" è pronto anche per le scuole superiori: un diktat improntato alla violazione non solo di principi culturali, di convivenza civile, di sintesi tra posizioni differenti, di ascolto; ma anche dell'Idea cui la scuola italiana ha cercato di ispirarsi in decenni di ricerca, di un vasto ed approfondito dibattito culturale: la promozione della conoscenza e del senso critico. Per la prima volta nella storia della Repubblica poche persone anonime, impermeabili a qualunque sollecitazione, critica o punto di vista differente e soprattutto all'esperienza concreta maturata da chi opera nella scuola e gestisce contenuti e modalità di insegnamento, hanno messo mano ad indicazioni curriculari che in ogni paese che voglia dirsi civile rappresentano una garanzia di pluralismo, di condivisione, di democrazia, di cittadinanza attiva e responsabile. Dando vita ad Indicazioni (che in realtà sono veri e propri programmi) lacunose ed approssimative, che tralasciano elementi cardine del sapere contemporaneo e che alludono, continuamente ed impropriamente, alla formazione spirituale e religiosa degli studenti, unico elemento di coerenza nella stesura delle Indicazioni stesse: un vero e proprio rovello, un chiodo fisso che prevale scandalosamente nel prescrivere atteggiamenti ad una scuola pubblica che, come tale, ha il dovere educativo, civile, politico ed etico di rispettare scelte personali in materia religiosa. Tra tanti arrembaggi subiti in questi quattro brutti anni questo colpisce dirittamente il cuore della scuola pubblica, violandone uno dei principi ispiratori - la libertà di insegnamento; ed è senz'altro il più odioso, il più pericoloso, quello al quale è più difficile rimanere indifferenti. Come quella alla libertà di stampa, la limitazione alla libertà di insegnamento rappresenta un'emergenza democratica prioritaria, alla quale nessuno può rimanere insensibile. Che chiede, esige, l'intervento di tutti. Ma in primo luogo dei rappresentanti della cultura. E' un appello triste; un appello che sarebbe stato meglio non essere costretti a fare. Negli anni Venti e Trenta la non partecipazione o addirittura l'assenza di molti intellettuali hanno avuto per il nostro Paese conseguenze addirittura catastrofiche. Il rinchiudersi nella turris eburnea della cultura e dell'arte, assistendo con distacco da quel punto di vista privilegiato e alto allo scorrere degli eventi non ha aiutato la democrazia nel nostro Paese. E' agli intellettuali, agli uomini di cultura tentati di dire, per un motivo o per l'altro, "non mi riguarda" che l'appello del Cidi si rivolge. Fino ad oggi troppi. Coloro che non hanno capito che "la scuola e il suo progetto educativo e culturale devono tornare ad essere res publica, questione che tutti coinvolge e tutti appassiona e impegna".


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