Unità: La Sapienza, una Notte senza Ruggito
Che successo la notte bianca degli Atenei. Ma «liberate i leoni»: le ore piccole sono fatte per osare
Roberto Cotroneo
La notte, a Roma, par di sentire ruggire i leoni. Ed è vero. Aveva ragione Carlo Levi quando faceva cominciare il suo romanzo L’Orologio con questa frase, forse tra le più memorabili della letteratura del Novecento. Il romanzo forse non vale questo inizio, e non è certo dei più belli di Levi, ma la notte, talvolta, a Roma sembra davvero che ruggiscano i leoni. L’altra notte alla Sapienza funzionava così. Con quelle luci che proiettavano figure sugli edifici progettati da Marcello Piacentini, in pieno stile architettonico fascista. Con quel tripudio di marmi e di finestroni giganteschiLa solita kermesse spettacolare e uno sguardo sull’Europa. Le pop star e Simona Ventura: ma sarebbe meglio invitare prof capaci di lezioni in grado di stupire gli studenti Con quei viali che sembrano pensati per un’adunata piuttosto che per le passeggiate di pensosi o assonnati studenti di ogni facoltà.
L’altra notte, nella seconda edizione della notte degli Atenei, una notte bianca che voleva le università aperte, lezioni notturne, kermesse, e concerti, tutto è cominciato con lentezza. In modo indolente. Con le luci al neon che davano una sensazione un po’ irreale, con pochi studenti che arrivavano presto, quelli che avevano rinunciato alla cena. Con persone più adulte, signore anziane, che camminavano a passo svelto verso il rettorato, l’aula magna, gli istituti. Con la musica di Jaimiroquai trasmessa da grandi altoparlanti, con un via vai di curiosità incerte e indecise. Con un altro altoparlante un po’ più in là che restituiva, e chissà perché, la voce di Mina che cantava E se domani, ma in spagnolo. Con tutti gli addetti alle facoltà, uscieri, bibliotecari, sveglissimi e naturali come fosse pieno giorno. Persino sorridenti. In una notte che non capisci bene cosa ti trovi di fronte: se una kermesse di quelle solite, fatte di cantanti famosi, di concerti che attirano giovani comunque (due nomi su tutti, Luca Carboni alla Sapienza, gli Officina Zoè a Roma Tre), se un esperimento vero di voglia di imparare, fatta del gusto di andarci di notte, proprio di notte, ad ascoltare lezioni diverse, senza l’obbligo di farlo. Con i professori persino un po’ spauriti, sicuri che per quella notte, quel che contava non era insegnare nel modo tradizionale, ma trasmettere un sapere che affascinasse e chiamasse studenti e folla. C’è chi c’è riuscito e chi no. C’è chi è stato capace di riempire le aule, e chi ha dovuto subire quello che i conferenzieri conoscono molto bene, quelle uscite discrete e lente degli uditori e degli studenti che dopo i primi dieci minuti si annoiano, non vogliono rimanere e vanno a cercare altro. Ma al di là di questo, l’esperimento per la seconda volta ha funzionato. Con un po’di buoni trucchi che funzionano sempre, e che spiegano 100 mila persone all’apice delle due di notte. I trucchi sono quelli classici. Uno come Luca Carboni che si può ascoltare senza procurarsi biglietti, un via vai di volti televisivi noti che attirano se non altro la curiosità; un senso di libertà, e un senso di utilità che di giorno, troppo spesso, l’università italiana dimentica di avere.
Nessuna retorica, per carità, sul fatto che l’università negli anni sia diventata in molti casi una scuola media superiore, dove le lezioni sono tenute da professori svogliati, gli esami sono una procedura burocratica, e persino le discussioni delle tesi di laurea paiono delle catene di montaggio che hanno ben poca sacralità, soprattutto nelle facoltà umanistiche. Certo è che l’altra notte, dopo il successo dell’iniziativa, qualche domanda bisognerebbe farsela. Perlomeno per la prossima edizione, quella che si terrà l’anno prossimo. Vanno bene i convegni sull’Europa e sull’anniversario dei trattati di Berlino, va bene fare lezione a ore tarde, va persino bene metterci qualche concerto glamour che raddoppia il numero dei visitatori, ma la notte chiede - e sempre - che si possa osare di più. E allora gli atenei prima che essere aperti la notte, devono essere aperti in assoluto. Allora si dovrebbe insistere - più che sul versante spettacolare - sulla cosiddetta «libido docendi»: su quell’arte perduta di affascinare gli studenti, di portarli ad ascoltare quanto di più interessante può esserci, di stupirli, di cambiargli la vita con una lezione soltanto. Ci vorrebbe un programma della notte bianca degli Atenei che non indichi solo gli eventi spettacolari, ma che guidi i visitatori e gli studenti nella confusione delle lezioni sempre un po’ estemporanee. Ci vorrebbe una minor voglia di convegni, e una maggiore capacità di osare. Meno volti noti, e più professori che da tutto il mondo, italiani e stranieri, avessero voglia di venire per una notte alla Sapienza, a Tor Vergata, alla Luiss, a tenere una vera e propria lectio magistralis. Ci vorrebbe la possibilità di ascoltare professori che insegnano abitualmente altrove, anche all’estero, che spesso hanno lasciato l’Italia perché qui non hanno mai vinto una cattedra. Ci vorrebbe una festa che può permettersi di fare a meno di concerti di popstar (che non mancano mai) e dei dibattiti con Simona Ventura, e mettesse per una volta in cattedra di notte Carlo Ginzburg o Salvatore Settis, Umberto Eco o Ruggero Pierantoni, Maurizio Ferraris o scrittori silenziosi e spiazzanti come Antonio Tabucchi o Roberto Calasso.
È vero che l’altra notte c’era Jeremy Rifkin, e c’era Vincenzo Cerami che leggeva L’Ecclesiaste. Ma ci sarebbe stato bene anche Guido Ceronetti che poteva leggere il suo Cantico dei Cantici, o per uscire dalla solite materie umanistiche, il fisico Frank Wilczek, che tra l’altro ha una madre italiana, a raccontare che cosa sia mai una «libertà asintotica». Le notti bianche sono un segno positivo di una disponibilità culturale in un paese diviso per troppi anni nei due estremi dell’ignoranza e dell’accademismo più sterile. Ma coinvolgere non basta. C’è bisogno di un pensiero forte che trasformi entusiasmo, idee, e voglia di sperimentare in un progetto coerente e davvero vincente.
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