Unità: La rottamazione dei quarantacinquenni
un piccolo odioso paradosso che non indigna nessuno. Riguarda la presenza, in questa folla di gente «matura», di persone «rottamate», pensionate controvoglia e senza pensione, a soli 45 anni
Bruno UgoliniPer molti è uno scandalo che suscita indignazione. È quello di lavoratori anziani, vigorosi, aitanti e scattanti, giunti all'età della pensione. Magari intenzionati, raggiunti i 60 anni, poco meno o poco più, con adeguati contributi versati, ad andare in pensione. Come hanno fatto, prima di loro, milioni di compagni o colleghi. A questo punto molti studiosi e politici alzano la voce: i tempi sono cambiati, oggi si campa molto più a lungo e le spese previdenziali straboccano. Numerosi anziani, poi, aitanti e vigorosi, non sognano affatto di abbandonare il lavoro, preferirebbero continuare a rendersi utili e guadagnare. Quindi, dicono, occorre premiare quelli che acconsentono a non «staccare» e punire chi non ci sta. Io credo ci sia del vero in tutto ciò. Con, però, un piccolo odioso paradosso che non indigna nessuno. Riguarda la presenza, in questa folla di gente «matura», di persone «rottamate», pensionate controvoglia e senza pensione, a soli 45 anni: altro che allungamento dell'età pensionabile. Il tema è stato affrontato, accanto a numerosi altri, in un convegno promosso a Milano dall'Arcidiocesi e dalla Pastorale del lavoro, Il titolo era: «La precarietà in età adulta. Inutili a 45 anni» . Molti materiali sono rinvenibili nel sito www.chiesadimilano.it. E tra questi trovo l'intervento di Francesco Totano, docente di Filosofia e Scienze umane a Macerata. È lui che riflette sul «paradosso»: «Le esigenze di un efficientismo forse male inteso portano oggi a programmare l'obsolescenza dei percorsi personali di lavoro, anche per motivi di presunta convenienza nei costi. Una tale tendenza si scontra d'altra parte con l'insistenza sulla necessità di prolungare l'attività lavorativa delle persone, in considerazione dell'innalzamento delle aspettative di vita e della difficoltà di provvedere al sistema delle pensioni...».
Sono circa 700 mila questi «inutili» quarantacinquenni italiani. Non è così in altri Paesi. Se da noi il tasso d'occupazione di chi ha sorpassato la soglia dei 45 è pari al 38%, in Svezia è pari al 72 mentre la media europea fissata dalla Ue nell'agenda di Lisbona è pari al 50%. Perché questo fenomeno italiano? Risponde Don Raffaele Ciccone: «Il bene dell'azienda ormai è solo risparmiare, svecchiare, rendere più vivace il lavoro e il diventare più grintosi manca ad una certa età... Si è troppo vecchi e basta». È la precarietà che colpisce non solo i giovani e che incide profondamente sulla famiglia (altro che i Dico!). Afferma l'arcivescovo Dionigi Tettamanzi: «Troppi nostri fratelli e sorelle mancano delle condizioni di vita essenziali per un'esistenza dignitosa e capace di un futuro sereno. Sono oppressi dalla precarietà economico-sociale, come la mancanza di lavoro e di casa, e ancor più dalla precarietà familiare dai tanti nomi, come le diverse forme di disagio all'interno della coppia...». Mentre Gianni Bottalico, presidente delle Acli milanesi, aggiunge: «Non riesco ad immaginare come un padre o una madre che hanno grandi difficoltà sul lavoro nel garantirsi un posto, possano essere sereni e tranquilli per affrontare la vita familiare e la crescita dei figli». Certo, anche in questo convegno le opinioni sulle cause di tutto ciò non sempre coincidono. Chi ha le idee chiare è un invitato come dire, di un'altra «parrocchia», Antonio Pizzinato, ex segretario della Cgil ed ex senatore della Repubblica. È lui che indica le radici di questa vasta «rottamazione» nelle più recenti leggi sul mercato del lavoro quelle che ora si vanno riscrivendo. Sostiene Pizzinato: «La possibilità d'inserire giovani reclutati con condizioni contrattuali meno vincolanti per le imprese, spesso sottopagati e sovrasfruttati, rafforzava in modo determinante la scelta di allontanare i lavoratori maturi». Due piccioni con una fava, per certi imprenditori, si potrebbe dire, perché quei quarantacinquenni, a differenza dei ventenni precari avevano una coscienza dei propri diritti nonché dei metodi con i quali tutelarli.
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