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Unità: La rabbia di Napoli: «Con i tagli si salvano solo gli amici dei baroni»

Palazzo Giusso, sede centrale dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, è occupata dal giorno precedente

24/10/2008
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l'Unità

di Eduardo Di Blasi inviato a Napoli

C’è una cattedra davanti all’imbocco delle scale che portano ai piani superiori. E nello spiazzo all’aperto appena dopo l’androne, i ragazzi che preparano i manifesti della loro protesta in lingue diverse non tutte comprensibili. Qualche studente di quelli fuorisede prova a salire ai piani superiori. «Non c’è lezione, le aule sono chiuse», gli rispondono alcune ragazze sedute sulla cattedra. Rimane interdetto. Con l’indice si inforca meglio gli occhiali sul naso. «C’è l’occupazione».

Palazzo Giusso, sede centrale dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, è occupata dal giorno precedente. Mercoledì notte ci hanno dormito in centoventi, sparsi tra le due sale occupate dai collettivi (in quella del Flex l’odore acre delle bombolette spray non deve aver fatto buona compagnia), l’aula Matteo Ripa, e le aule sotterranee. Hanno chiuso i cancelli alle 22, divieto di alcool, niente feste. «Si è parlato di politica fino all’una, poi ci si è messi a dormire».

La mattina seguente, mentre i cortei degli universitari e dei liceali si indirizzano a bloccare le lezioni degli altri plessi dell’Orientale, palazzo Giusso si ferma al secondo dei quattro piani, con le catene che sbarrano l’accesso verso l’alto. «Abbiamo chiesto solo gli spazi che riusciamo a controllare e a gestire. È un’occupazione politica». Il ragazzo napoletano che abbiamo di fronte si chiama Salvatore, ha 25 anni e a marzo discuterà la sua tesi di dottorato a Parigi. Una persona che nell’università è passata come una freccia: laurea in quattro anni e dottorato (con una borsa di studio non coperta in alcun modo) in tre. «Fortunatamente – esordisce – provengo da una famiglia benestante, perchè già oggi, in Italia, se non vieni da una famiglia benestante non puoi studiare». Spiega di queste borse di studio «gratuite», di ricerche che vengono pagate 2200 euro per sei mesi di lavoro (ma siamo già al gradino successivo, quello del ricercatore che fa la fame), e alle quali, per far quadrare i conti, bisogna aggiungerci le lezioni private (ne è piena l’università di annunci di insegnanti di inglese, francese, arabo, cinese, giapponese...), il call center e quello che si trova da fare. Per questo Salvatore è arrabbiato quando pensa alle parole del ministro Gelmini che sostiene come i tagli miglioreranno la qualità dell’università. Perchè si sente preso in giro un’altra volta: «Il sistema vive sulla cooptazione, e se si riducono i posti disponibili di certo non si farà un piacere a chi non rientra nella cerchia dei baroni». Dice che a marzo, dopo la tesi di dottorato, l’unica cosa che potrà fare sarà guardare all’Europa, dove i concorsi di ricerca si trovano sul web «e non sono sussurrati dai professori nei corridoi». La micro-specializzazione, le lauree legate al «mercato», sono i totem contro cui la parte avanzata di questa protesta si batte. «In Francia esisteva un corso di laurea per ingegneri che veniva chiamato il corso “mc Donald” perchè era tipo “teorie e tecniche del congelamento della carne animale per il trasporto”... È questo il modello che dobbiamo contrastare. Se la ricerca universitaria finisce per il 90% a occuparsi di cosmetica e non di malattie che sterminano milioni di persone vuol dire che l’ingeresso dei privati non funziona».

I tagli della legge 133, da tutti giudicati una iattura per l’università italiana, sono ancora una volta la molla di una protesta più ampia che qui a Napoli ha contagiato in breve tempo tutti gli atenei.

Il centro della protesta è questo palazzo bianco che si trova in una traversa di via Mezzocannone, a cento metri da Corso Umberto. Ha alcune caratteristiche «urbane» importanti: è centrale, ha uno spiazzo interno per le assemblee ed è meglio gestibile della più ampia Federico II. Ma è anche quello dove i collettivi universitari hanno una presa maggiore. Per questo è diventato l’epicentro della protesta napoletana, il punto di snodo di un’ondata che se dovesse coinvolgere separatamente tutte le facoltà troverebbe studenti per strada da Mergellina al Duomo (le sedi distaccate sono decine).

Qui sono convenuti ieri gli studenti di Architettura dopo l’assemblea, qui si ritroveranno il 29 ottobre tutte le anime della protesta universitaria di Napoli. Protesta che ieri pomeriggio li ha visti nuovamente in corteo per le strade del centro in un clima di totale anarchia: nè un poliziotto, nè, purtroppo, un vigile urbano in grado di sedare le incompresioni tra studenti e automobilisti.


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