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Unità: La linea dura del governo e la ricerca dell’unità sindacale

C’ è una vena autoritaria in questo governo». La battuta è di un delegato a questa Conferenza nazionale della Cgil

30/05/2008
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l'Unità

Bruno Ugolini

C’ è una vena autoritaria in questo governo». La battuta è di un delegato a questa Conferenza nazionale della Cgil. Un appuntamento voluto per affrontare la necessità di cambiare pelle, come spiegherà più tardi Carla Cantone, poiché visto che tutto cambia nel mondo del lavoro, il sindacato non può stare fermo come una statua di marmo. Un tema che però rischia di essere travolto dall’attualità. Lo stesso delegato mi mostra la prima pagina del Corriere della sera. con quel titolo d’apertura «Cgil, subito rottura con il governo» accompagnato da un commento sferzante nei confronti del sindacato.

Perché tanta veemenza? Il pretesto è dato da quanto avvenuto nell’incontro per i problemi del pubblico impiego. Con il baldanzoso neoministro Renato Brunetta che pretende di colloquiare con i vertici confederali, escludendo i rappresentanti delle categorie confederali. Magari avviando un nuovo tipo di concertazione, quella elettronica, via Email. Lui comunica e gli altri recepiscono.

Nasce da qui la battuta sulla «vena autoritaria». Il neonato governo ha adottato, infatti, nei suoi primi vagiti, una specie di «faccia feroce». Magari per poi raddolcirsi e cambiare fisionomia. È successo per Rete Quattro e magari, nella cornice romana, per la via da dedicare al camerata Almirante. Tra i combattenti spediti in avanscoperta per ora eccelle Roberto Maroni al quale sono stati affidati gli immigrati, mentre a Maurizio Sacconi e a Renato Brunetta sono stati affidati i sindacati. Un’orgia di decisionismo spinto al massimo, con la convinzione che i complicati processi democratici siano una via troppo complessa. Anche se la storia insegna che è quella che da maggiori risultati, anche in termini di efficienza. Prendete il caso di questi incontri sul pubblico impiego. Davvero si crede possibile stabilire, in quattro chiusi in una stanza, piani industriali, strategie, una mezza rivoluzione, senza coinvolgere le categorie interessate? È una strada che porta, questa sì, alla morte del sindacato generale e alla diffusione dei Cobas corporativi di ogni genere. Il rifiuto metodologico della Cgil non è del resto isolato se è vero, come ha scritto "Il Messaggero", che nella Cisl su questo è scoppiato il parapiglia. E come mai autorevoli commentatori non s’indignano per il fatto che il neo ministro in sostanza vuole ritornare all’epoca in cui il pubblico impiego era regolamentato solo da leggi e leggine, care al clientelismo imperante. Facendo fuori quella riforma che ha portato alla "privatizzazione " del rapporto di lavoro, riconoscendo, appunto, moderna contrattazione e ruolo del sindacato anche nell’azienda pubblica. Una svolta sulla quale bisognerebbe procedere, discutendone i risultati, correggendo e magari approvando contratti scaduti e attuando "memorandum" per l’efficienza già concordati.

Calma e gesso, però. La folla di donne e di uomini riuniti nel mastodontico complesso della fiera di Roma non sembra lasciarsi prendere dal nervosismo o dall’ansia di rispondere colpo su colpo. Guarda lontano. Il segretario della Cgil non pronuncia un discorso altisonante, demagogico. Ragiona freddamente sulle prime pecche del governo, avanza critiche serie su alcuni provvedimenti. Spiega come avrebbero potuto essere spesi altrimenti i soldi per un Ici che mette sullo stesso piano il ricco commerciante e la famiglia di Cipputi, o per quelle facilitazioni nel lavoro straordinario che possono ingolosire un po’ di maschi specializzati del Nord ma non tanti altri operai. L’alternativa c’era ed era quella che prevedeva interventi su fisco e tasse, decisi solennemente in una grande assemblea a Milano da Cgil Cisl e Uil e che avrebbero portato nelle tasche dei lavoratori 400 Euro il mese. Dopo tante lacrime sui salari vergognosi, sarebbe stato un discreto vantaggio.

Così riflettendo Epifani adotta una linea tesa a mettere alla prova la coalizione di centro destra. Non scappa e non grida nemmeno "O la va o la spacca". Non si lancia a ipotizzare, come teme fortemente "Il corriere", un nuovo Circo Massimo ricolmo di folla tumultuante. Anche perché (almeno finora) non si sventola dal centrodestra un nuovo articolo 18 da affossare (anche se forse bisogna prepararsi al peggio). Epifani insiste, semmai, sul tasto delle proposte. A cominciare dal famoso modello contrattuale che dovrebbe sopperire alle deficienze dell’accordo del 1993. E annoda ancor più fortemente i legami con Cisl e Uil. Che hanno magari accenti diversi, un maggior ottimismo sulla possibilità di portare a casa discreti risultati con questo governo, ma che confermano la vocazione unitaria.

Tutto chiaro, dunque, tutto a posto? Non lo diremmo. Nel sindacato, nella stessa Cgil si agitano pareri diverse. Non parliamo della dura opposizione Fiom al modello contrattuale, di cui nella relazione non si fa cenno. Parliamo di un malessere più generale non superato. Con la richiesta di un ruolo più alto, un argine, di fronte a una marea montante fatta di violenze e degrado. Un malessere che non coglie solo la tradizionale sinistra. Sbagliano coloro che dividono questo sindacato tra riformisti e massimalisti considerando i primi una specie di massa di pecoroni senz’anima. La partita è lunga e comunque saranno decisive per il futuro della Cgil le decisioni che saranno prese, annunciate da Carla Cantone, per dare energia e vitalità ad una organizzazione potente ma non immune da pigrizie e burocraticismi. Ha bisogno di una sferzata e di un mutamento, ritornando a "sporcarsi le mani" nell’impegno militante rintracciando i gomitoli di un lavoro disperso in mille rivoli.


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